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“The Lake House”: la recensione del survival horror di Sarah Beth Durst


The Lake House recensione - libro - Sarah Beth Durst

Usare la recensione di “The Lake House” per curare un brutto caso di nostalgia da “Yellowjackets”: si può?

Bè, diciamo che il libro di Sarah Beth Durst ce la mette (quasi) tutta per ricreare quel caratteristico senso di suspense, teen drama e survival horror cui siamo così affezionati. Ovviamente, al di là delle apparenze, i due titoli non sono neanche remotamente paragonabili: “The Lake House” è uno YA che gioca sempre secondo le regole (buonismo e moralismo edificante piovono a catinelle…) e non accetta di scendere a patti con la natura dark degli eventi che narra neanche per un secondo.

Sta a “Yellowjackets” come “Wilder Girls” di Rory Power sta ad “Annientamento” di Jeff VanDermeer, per intenderci.

Ma la cover è un pezzo d’arte e il testo riesce, se non altro, a introdurre una serie di  novità che gli permettono di distinguersi dalla massa…


La trama

Claire è cresciuta controllando le serrature delle porte almeno tre volte. Contando i passi. Lacerandosi nel dubbio e nell’incertezza a ogni decisione. È fatta così: anche se i suoi tipici trip alla “peggior scenario possibile“, poi, difficilmente arrivano ad avverarsi.

Fino a quando i suoi genitori non la costringono a partecipare a un campo estivo isolato in mezzo ai boschi. Non appena mette piede nella foresta, infatti, Claire si ritrova a contemplare i resti carbonizzati di una baita – e non ci sono sopravvissuti, a eccezione di se stessa e di altre due ritardatarie: Reyva e Mariana.

Quando le tre ragazze scoprono il corpo di una donna nei boschi, realizzano che l’incendio non è avvenuto per caso. Qualcuno, qualcosa, sta dando loro la caccia. Qualcosa che si nasconde nell’ombra.

Qualcosa che si rifiuta di lasciarle andare.



“The Lake House”: la recensione

“The Lake House” ha un buon ritmo e ruota attorno a una serie di tematiche intriganti.

Nel corso degli ultimi due o tre anni, tante autrici di romanzi per ragazzi hanno iniziato a introdurre l’argomento dei disturbi d’ansia. Una rappresentazione importante, considerando quanti di noi hanno sofferto (o soffrono tutt’ora…) di problematiche quali attacchi di panico, DOC e compagnia bella.

Ad esempio, nel romanticissimo “All the Dead Lie Down“, Kyrie McCauley offre un’ottima testimonianza di questa nuova tendenza, consegnandoci il ritratto di una magnifica eroina gotica contemporanea: volitiva e coraggiosa, sì, ma anche assediata da una batteria di fragilità e incertezze legate al nostro stile di vita moderno.

Nella stessa categoria si inscrive anche Claire, la nevrotica protagonista di “The Lake House”. Una ragazza in gamba e piena di risorse, costretta a fare i conti con un’ansia destabilizzante e una patologica tendenza a immaginare sempre lo scenario più apocalittico possibile.

Uno stato mentale non proprio ideale per ritrovarsi bloccati in una landa selvaggia, circondati dai resti carbonizzati di un incendio e braccati dalle tempeste, per giunta senza viveri o un riparo sulla testa.

(Ammesso che una condizione mentale ideale per fronteggiare una cosa del genere ESISTA, si capisce!).

Claire è un personaggio per il quale è molto facile ritrovarsi a parteggiare. Tanto più che le sue reazioni e le sue intuizioni, mentre lotta per sopravvivere nella natura incontaminata, suonano sempre molto credibili e coinvolgenti.

Le sue due compagne di sventura, purtroppo, risultano più stereotipate e difficili da amare. Più che altro perché sembrano uscite dall’intensa sessione di daydreaming di una ragazzina solitaria intenta a fantasticare sulle qualità ideali della “bestie” perfetta.

Veste sempre di nero e indossa gli anfibi, ma nasconde un cuore grande quanto il Texas? L’identikit di Reyva.
Una cheerleader sempre pronta a prendersi cura degli altri, un'”all american girl” con la passione segreta per i motori e i ragazzi con l’aria da cucciolo bastonato? L’identikit di Mariana.

Eventuali difetti dell’una o dell’altra?
Non pervenuti, ovviamente.


Il potere del Trio

Ma l’errore principale di “The Lake House” consiste, forse, nel provare a giocare con un sottile senso di ambiguità e mistero che, in effetti, nessuna parte della narrazione sembra in grado di sostenere a lungo.

Certo, ci sono dei plot twist.
E riescono a coglierti alla sprovvista… soprattutto perché non si sforzano di avere molto senso, e si limitano a rubacchiare qualche trovata di qua e di là.

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“Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”: la recensione del libro di Grady Hendrix


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La mia recensione di “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”, romanzo horror di Grady Hendrix, si basa, in realtà, sull’edizione originale in lingua inglese dell’opera (“The Final Girl Support Group”).

Ero molto curiosa di leggere questo libro, essenzialmente per due motivi:

  1. nel 2016, Grady Hendrix aveva già firmato uno dei miei libri horror preferiti del secolo, alias l’irriverente e divertentissimo “L’Esorcismo della Mia Migliore Amica”);
  2. ho sempre pensato che le “final girls” fossero l’unica cosa buona e bella di ogni singolo slasher mai girato.

Complice l’altissimo livello di gradimento riscosso da “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute” presso i lettori americani, nutrivo delle aspettative piuttosto alte nei confronti di questo titolo.

Una fiducia che è stata ripagata, alla fine, da un secondo e da un terzo atto ricchi d’azione, personaggi surreali e momenti di genuina commozione.

Ma anche smentita, in parte, da una parata di capitoli iniziali (le prime cinquanta, sessanta pagine o giù di lì…) caotici e abbastanza dissonanti da spingermi a prendere in considerazione, per un momento, l’idea di mollare la lettura…


La trama

Lynnette Tarkington è una final girl in carne e ossa: l’unica sopravvissuta a un orribile massacro, avvenuto per mano di un pazzo mascherato da Babbo Natale quando Lynne era soltanto una liceale.

Per sedici anni, la nostra eroina ha continuato a incontrarsi con altre cinque final girls nello scantinato fatiscente di una Chiesa, per cercare il sostegno di una terapeuta specializzata nell’assistenza alle vittime di crimini violenti.

Un gruppo di supporto per donne e ragazze sfuggite all’impensabile, insomma, pronte a rimettere insieme i pezzi delle loro vite. O, quantomeno, a provarci.

Un brutto giorno, però, una delle ragazze del gruppo – Adrianne, la più attiva, la più generosa fra loro – salta un appuntamento, e la peggiore paura di Lynette inizia a manifestarsi: qualcuno è venuto a sapere dei loro incontri, e ha deciso di approfittarne.

Un altro mostro – l’ennesimo di una lunga serie – che si prepara a prendersi una rivincita sulle ultime donne ancora in piedi.

Ma la cosa più importante da sapere, quando si parla di final girls, le sopravvissute per eccellenza?

Non importa quanto le possibilità possano essere contro di loro. Non conta neanche quanto oscura sia la notte, o affilato il coltello: una final girl non si arrende.

Mai e poi mai.



“Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”: la recensione

Il romanzo di Grady Hendrix gode di un riconoscibilissimo e scoppiettante impianto cinematografico.

Infatti, come “Scream”, come la sottovalutata commedia “Final Girls” di Todd Strauss-Schulson, riesce a sfruttare appieno il concetto di “metacinema” e a trarre parte della propria forza dagli innumerevoli tropes tipici dei principali slasher in voga negli anni Settanta/Ottanta/Novanta.

La struttura del romanzo è infarcita di colpi di scena e dialoghi serratissimi. Una caratteristica che mi spinge a pensare che, dovesse mai un produttore hollywodiano decidere di investire sull’adattamento cinematografico di “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”, probabilmente ci troveremmo alle prese con un film infinitamente superiore al mediocre “My Best Friend’s Exorcism” diretto da Damon Thomas.

Qualsiasi amante dei B-movie in salsa horror troverà divertenti i centomila richiami ai più grandi successi del filone “exploitation”: da “Halloween” a “Non Aprite Quella Porta”, passando per “Venerdì 13” e “Le Colline Hanno gli Occhi”.

Del resto, gli stessi titoli dei capitoli rappresentano una complice strizzata d’occhi – e, al tempo stesso, una consapevole fonte di sbeffeggiamento – nei confronti di questi film così estremi, violenti e infarciti di punti problematici.


La mitologia del mostro

Punti problematici con i quali Hendrix, per fortuna, non ha alcuna paura di confrontarsi.

Se c’è una cosa che mi piacerebbe farti capire, attraverso questa recensione di “Gruppo Sostegno per Ragazze Sopravvissute”, è che la trama narra la storia di Lynette e delle sue amiche; NON dei mostri infami, brutali e disturbati che hanno sfregiato le loro vite.

Una categoria di soggetti, quella degli assassini, fin troppo esaltata – diciamocelo – da altri media affamati di visualizzazioni.

Sfatando il mito dell’assassino carismatico, affascinante e/o dotato di una complessa vita interiore (un luogo comune che fa imbestialire, e che pure accumuna quasi tutti i thriller incentrati sull’attività di un serial killer, da “Il Silenzio degli Innocenti” a “Saw”…), Grady riesce quindi a ribaltare la prospettiva e a concentrare le sue energie sulla componente più vitale e psicologicamente interessante dell’equazione: le sopravvissute stesse.

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“Prey”: la recensione del film di Dan Trachtenberg su Disney+


prey recensione - film disney +

Con un paio di giorni di ritardo sulla tabella di marcia, ecco arrivare la recensione di “Prey”, il nuovo film della saga “Predator” targato Disney+.

Devo ammettere che la pellicola di Dan Trachtenberg – già regista del sorprendente “10 Cloverfield Lane” – si è rivelata una piacevolissima sorpresa.

Fra i numerosi punti di forza, in relazione allo sviluppo della movimentatissima trama, si distinguono a mio avviso soprattutto il “restyling” di uno dei villain più classici della storia del cinema, un’ambientazione mozzafiato, un ritmo che non perdona e l’introduzione di una nuova, grintosa eroina


La trama

Naru (Amber Midthunder) è una giovane guerriera della Nazione Comanche.

Suo fratello è il più esperto e rispettato cacciatore del villaggio. Il ragazzo è sinceramente affezionato alla sorella, ma dubita seriamente che Naru possa tenere il passo e dimostrarsi un’utile risorsa per la sua cerchia di cacciatori.

In effetti Naru, per quanto sveglia e coraggiosa, sembrerebbe quasi più adatta al ruolo di guaritrice

Eppure Naru non ha alcuna intenzione di arrendersi. Il suo obiettivo? Oltrepassare i propri limiti e assumere le redini del suo destino.

E così, non appena comincia a sospettare la presenza di un nuovo predatore, un feroce assassino che si aggira macellando animali nel bosco, la giovane donna decide di mettersi in marcia per provare – a se stessa e agli altri – il proprio valore come donna e come cacciatrice.


“Prey”: la recensione

Secondo Dan Trachtenberg, i vecchi film della serie “Predator” non sono mai riusciti ad azzeccare il modo di muoversi e porsi dell’alieno invasore.

«La cosa che volevo davvero fare», riporta Everyeye, «era, da un lato, andare incontro alla famosa armatura di Predator – che adoro – ma, dall’altro, allontanarmi da ciò che era stato fatto prima, perché mi ha sempre dato l’impressione di una tuta indossata da un uomo normale».

In effetti, stavolta il mostro di “Prey” assomiglia molto di più alla creatura selvaggia e brutale dei nostri incubi. Uno scaltro predatore, abituato a trovarsi in cima alla catena alimentare e sempre pronto a sbarazzarsi della competizione.

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“Obscura”: la recensione del libro sci-fi di Joe Hart


Obscura - recensione - libro - joe hart

L’anno scorso, l’uscita dell’edizione italiana di “Obscura”, romanzo fantascientifico di Joe Hart, è passata piuttosto inosservata.

Confesso che, se non fosse stato per Storytel, questa succosa novità targata La Corte Editore sarebbe sfuggita anche a me. Ma, ormai, il colosso degli audiolibri conosce benissimo i miei gusti, e non ha esitato a segnalarmi questo adrenalinico titolo ambientato nello spazio.

Per farla breve, “Obscura” assomiglia un po’ al libro che Dean Koontz avrebbe potuto scrivere, se “L’Uomo di Marte” di Andy Weir, la serie coreana “The Silent Sea” e il film distopico “Awake si fossero improvvisamente infilati fra le sue fonti di ispirazione.

La storia, malgrado le vistose imperfezioni tecniche e stilistiche, scorre e cattura, proponendo al lettore un mix di azione, suspense e thriller al cardiopalma.

Se ti piacciono la fantascienza – soprattutto quella dalle tonalità più “soft” e commerciali – le ambientazioni spaziali e le letture in stile blockbuster… bè, segui il mio consiglio: il romanzo di Joe Hart potrebbe fare al caso tuo! 😉


La trama

In un futuro imminente, un’aggressiva e terrificante forma di demenza ha cominciato a mietere vittime di ogni età.

Le cause del morbo sono sconosciute; i sintomi, semplicemente devastanti.

La dottoressa Gillian Ryan sta cercando di trovare una cura.

Non è un’impresa facile; soprattutto perché lassù, ai piani alti, qualcuno sembra deciso a tagliare definitivamente i fondi della sua ricerca.

Ma anche perché la sua bambina, Carrie, ha contratto la stessa malattia della memoria che ha già portato via suo marito e mandato a pezzi il suo mondo.

Così, quando un ex fidanzato che lavora per la NASA chiede a Gillian di partecipare a una missione per cercare di scoprire cosa diamine stia succedendo a bordo di una stazione spaziale in cui la gente ha cominciato a comportarsi in modo aggressivo, la dottoressa Ryan decide di accettare e partire per lo spazio.

Perché, in cambio, la NASA le offrirà i fondi necessari a completare le sue ricerche.

Ma Gillian soffre di una dipendenza segreta, e sembra anche incline ad accusare intrusivi attacchi di panico e paranoia.

Una condizione che non sembra esattamente l’ideale, per una donna che si appresta a tuffarsi nel buio cosmico.

Soprattutto perché, nei resoconti della NASA, sembra nascondersi qualcosa che non torna.

Qualcuno le sta mentendo. E se dietro i misteriosi eventi della stazione si nascondesse una verità impensabile?

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