Da quanto tempo stavo aspettando di pubblicare la recensione di “Agatha All Along”?
Quasi un mese, ormai. Mi sono ufficialmente trasformata nella proverbiale tizia incaricata di chiudere la parata; e c’è da dire che, nel caso specifico in questione, mi rammarico del ritardo addirittura più del solito.
Anche perché ti assicuro che ho seguito fedelmente, ogni settimana, gli episodi rilasciati su Disney+. Anzi… La verità è che mi sono ritrovata a fagocitarli, in preda a un considerevole livello di adorazione!
E… sì, lo so: dal mio punto di vista personale, pare abbastanza chiaro che “Agatha All Along” poteva soltanto ambire diventare LA serie Marvel per antonomasia. La prima e unica pensata, scritta a interpretata avendo la sottoscritta come rappresentante del proprio pubblico ideale, anziché il classico trentenne maschio che va a letto indossando i boxer di Spider-Man e sognando di avere il savoir faire di Iron-Man (ehi, guarda che non sto mica criticando, eh? Sarà dal 2019 che vado a dormire ogni sera indossando la mia t-shirt viola di Captain Marvel…).
Voglio dire, quando gli ingredienti di uno show televisivo sono:
- una squinternata congrega di streghe;
- delle irresistibili vibes in stile “Hocus Pocus”;
- una protagonista moralmente ambigua, trickster e queer;
- un pizzico di sapphic yearning;
- Kathryn Hahn + Aubrey Plaza = ♥…
… come diavolo puoi spettarti di piazzare me davanti al televisore e non fare centro?
Eh, già. La cosa che mi ha intrippato di più, però? Una volta tanto, ho potuto condividere il mio entusiasmo per qualcosa di eccentrico, ben fatto e diverso con il resto del grande pubblico…
Di cosa parla “Agatha All Along”?
“Agatha All Along” è uno spin-off della monumentale miniserie “WandaVision“, a sua volta disponibile sulla piattaforma streaming Disney+.
Dopo la partenza di Wanda (Elizabeth Olsen) da Westview, la strega Agatha è rimasta in città, prigioniera di un incantesimo dalle condizioni alquanto peculiari.
Agatha ha perso buona parte della sua magia. Non ha memoria del suo passato e si crogiola in una lunga serie di allucinazioni derivate dalla sua vasta conoscenza di telefilm polizieschi e/o a sfondo procedurale (qualcuno ha detto “Mare of Easttown“, per caso?).
Tuttavia, l’arrivo di una vecchia nemesi e di un misterioso ragazzino la spingeranno a formare una nuova congrega e a imbarcarsi in una lunga e pericolosa quest per la riconquista dei suoi poteri…
Giù, giù, giù per la Strada della Strega…
Prima di “Agatha All Along”, diciamo che non avevo proprio litigato con il MCU. Ma quasi.
Non mi è piaciuto il modo in cui hanno gestito la metà dei progetti post-Endgame. E sì, sto deliberatamente includendo nella lista il simpatico “The Marvels“: perché, anche se l’ho trovato divertente, piacevolmente fresco e genericamente ca**one, sappiamo tutti che il film avrebbe potuto ambire a rappresentare l’inizio di qualcosa di grande, anziché accontentarsi di incarnare una momentanea parentesi di leggerezza e demenzialità.
“Miss Marvel“, dal canto suo, rappresenta forse un’iniezione di contagioso ottimismo multiculturale; ma la forzata giovialità di “She-Hulk” risulta deprimente persino per una millenial abituata agli exploit di “Ally McBeal”, mentre “Moon Knight” ha segnato la più importante scoperta contro l’insonnia dai tempi della creazione del Valium.
Di “Quantumania“, onestamente, mi rifiuto anche soltanto di parlare.
Insomma, ultimamente era andata così.
E poi, d’un tratto, dal nulla, eccoti arrivare una piccola bomba del calibro di “Agatha All Along”. Con la sua sceneggiatura brillante e i suoi dialoghi esilaranti, i suoi personaggi larger-than-life e il suo tormentone autunnale degno della Digital Song Chart Record…
Pronta a dimostrare, semmai ce ne fosse stato bisogno, che i troll della domenica sera non hanno mai capito una cippa. Non è del ritorno trionfale di quel bolso di Robert Downey Jr. nei panni del Doctor Doom, che il MCU ha bisogno; né di qualsiasi altro patetico stunt pubblicitario dello stesso tipo.
E’ soltanto di buone storie, che noi fan di vecchia data abbiamo bisogno. Di tematiche universali, scene d’azione che non siano lì soltanto per fare “boom” e “bang” , e di archetipi in grado di risuonare con i nostri con i nostri sogni, le nostre paure e le nostre esperienze.
E, soprattutto, di registi e sceneggiatori che, come Jac Schaeffer e la sua squadra, dimostrino una grande consapevolezza di quelle che sono le aspettative del pubblico e delle varie potenzialità espressive in dotazione ai loro medium…
Chi non risica, non rosica?
Da questo punto di vista, “Agatha All Along” ha rappresentato, forse, una scommessa rischiosa per la Marvel. Lo testimoniano il budget moderato, e la lunga serie di flop che ha preceduto il debutto dei suoi primi episodi.
Eppure, a mio avviso, la scarsità di fondi (relativamente parlando, si capisce…) in realtà ha soltanto giocato a favore dello show, perché ha costretto la showrunner a concentrarsi su ciò che conta davvero: un buon uso delle tecniche di storytelling, un intreccio in grado di stimolare le capacità deduttive dello spettatore, e un cast di attori che sembrano praticamente nati per interpretare i ruoli assegnati loro in questa serie!
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