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“Death at Morning House”: la recensione del mistery YA di Maureen Johnson


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Death at Morning House”, il nuovo mistery YA di Maureen Johnson, ha ottenuto moltissime recensioni positive. Stavolta, però, temo che mi toccherà interpretare il ruolo dell’avvocato del diavolo: dal canto mio, ho trovato questo libro abbastanza noioso e prevedibile!

Soprattutto, non mi hanno convinto i personaggi, mentre il finale del romanzo mi ha completamente lasciato a bocca aperta… e, purtroppo, non nell’accezione positiva dell’espressione!


La trama

Non è colpa di Marlowe Wexler se le candele aromatizzate sono più pericolose di quanto annuncino i rivenditori online! Lei voleva soltanto assicurarsi che il suo primo appuntamento romantico con Akilah, la ragazza di cui Marlowe è stata innamorata per anni, procedesse nel migliore dei modi. Come avrebbe potuto sapere che il suo tentativo di creare la giusta atmosfera si sarebbe trasformato in un incendio in grado di compromettere il resto della sua estate?

Umiliata e depressa, Marlowe decide di accettare un nuovo lavoretto delle vacanze. Parte così per Morning House, una magione costruita negli anni Venti su una remota isoletta al confine fra Canada e USA. Una sfilza di sciagure ha costretto la famiglia che ci abitava ad abbandonarla agli elementi. Ma lo Stato, adesso, ha deciso di organizzare dei tour guidati per permettere ai turisti di visitare questa casa così particolare, perfettamente in grado di riflettere la personalità eccentrica dei suoi primi abitanti.

Morning House, però, nasconde molti segreti, e più di un mistero da risolvere. E un piccolo incidente, a quanto pare, è tutto ciò che serve a innescare di nuovo l’orrore


Death at Morning House”: la recensione

Bisogna ammetterlo: i primi capitoli di “Death at Morning House” si rivelano molto simpatici e intriganti! Soprattutto perché l’intreccio, destinato a seguire un duplice mistero-con-omicidio attraverso due distinte linee temporali, parte da una premessa divertente e fa pensare a una sorta di mesh-up in chiave YA di “Knives Out” e “The Afterparty”.

Ma anche perché la voce narrante di Marlowe, tutto sommato, si rivela energica e dotata di tratti piacevolmente “goofy”. Mi è piaciuta soprattutto l’idea di creare un parallelismo in chiave ironica con i vecchi noir alla Raymond Chandler, e di provare a strappare un sorriso al lettore malgrado il tema dark e conturbante del libro.

Maureen Johnson, del resto, si sforza di fornire alla sua protagonista una personalità effervescente e squinternata. In maniera completamente randomica, ammetterò che mi ha ricordato, in parte, quella della mitica Olivia in “Alien: Echo”, un travolgente space horror firmato Mira Grant.

A dire il vero, non sono del tutto soddisfatta dei risultati raggiunti dalla Johnson da questo punto di vista. Perché, a un certo punto, mi è sembrato che i risvolti infantili e pedanti di Marlowe prendessero il sopravvento su tutte quelle qualità che avrebbero potuto permettermi, invece, di imparare a vederla come una detective competente e per cui valesse la pena fare il tifo. Ma posso, perlomeno, apprezzare il tentativo di mettere su una caratterizzazione gradevole e anticonvenzionale…

Il punto è questo: “Death at Morning House”, come molti altri romanzi mistery, è un libro plot-driven. Il che vuol dire che il focus della narrazione si concentra, quasi esclusivamente, sulla complessità dell’intreccio, sulla qualità dei falsi indizi (le famosissime “red herring”) e sulla combinazione di diversi colpi di scena.

Pur essendo ambientato negli USA, possiamo anche considerarlo un tipico giallo all’inglese: di fatto, la Johnson concede pochissimo spazio all’azione e alla contaminazione con il thriller, moltissimo ai dialoghi e all’evocazione dell’atmosfera.

Eppure, nulla di tutto questo giustifica, a mio avviso, la sporadica piattezza della narrazione e la totale assenza di un cattivo che sia, per dirla con le parole di Paolo Roversi, «non uno qualsiasi», bensì un villain all’altezza della situazione…


Anche i ricchi piangono… o, forse, no?

A dire il vero, la linea temporale ambientata negli anni Venti, quella che segue le quotidiane follie della famiglia Ralston, mi è sembrata la più riuscita e la più coinvolgente, soprattutto dal punto di vista emotivo.

Sarà perché il mistero si dipana a partire dallo sconvolgente omicidio di Max, un bambino che ci viene presentato un po’ come una sorta di Damien del film “Il Presagio“. Difficile resistere alla tentazione di scoprire cosa sia accaduto a questo terribile “marmocchio”. Soprattutto quando tutti gli indizi sembrano puntare in una direzione che non riesce mai a convincerci del tutto…

O, magari, è stata proprio la premessa a conquistarmi: il pensiero di tutti questi ragazzini-prodigio, collezionati da un miliardario (salutista e ossessionato dall’eugenetica) come se si trattasse di altrettante farfalle da mettere sotto una teca. Il tutto mentre, fuori dalle loro finestre, le ruggenti sonorità del jazz, le danze delle Flap Girls e le sfide al Proibizionismo iniziano a mettere finalmente in discussione i tradizionali capisaldi della società…

Sia come sia, ho trovato la risoluzione di questo mistero quantomeno disturbante, inaspettata e, nel complesso, pienamente soddisfacente. Che è molto più di quanto si possa dire, purtroppo, a proposito del finale relativo alla linea temporale di Marlowe e compagni.

Certo, non sono una grande fan dei salti di PoV a mitraglietta. Durante la lettura, il fatto che la narrazione continuasse a balzare dal punto di vista di un fratello Ralston all’altro mi ha, effettivamente, destabilizzato. Questo rappresenta, però, più che altro un problema mio: dopotutto, la tecnica di Maureen Johnson serve il plot, non l’arco trasformativo dei personaggi. E la girandola di prospettive riesce a valorizzare tutti i suoi scioccanti twists nel modo più delizioso ed elettrizzante possibile.

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