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Come scrivere il trope del “forbidden love”: le scene-chiave, i personaggi e tutti gli errori da evitare


come scrivere il trope del forbidden love

Stai cercando di basare il tuo nuovo romantasy sul trope del “forbidden love”, ma non sai quali sono gli errori più comuni in cui potresti incappare?

Oppure ti piacerebbe inserire un subplot romantico basato su questa popolarissima convenzione narrativa all’interno di un romanzo gotico, horror o thriller… Ma non hai ancora acquisito abbastanza dimestichezza con il trope dell’amore proibito e la cosa sta cominciando a farti saltare la mosca al naso.

Niente paura: in questa breve guida, andremo rapidamente a ripercorrere il significato del trope del “forbidden love”, i suoi usi, le sue figure tipiche e, soprattutto, le sviste più “pericolose” che devi assolutamente imparare a evitare. Lo faremo affidandoci a svariate fonti, che troverai esplicitate nel corso dell’articolo, ma soprattutto basandoci sulle preziose informazioni contenute nel manualetto di Cindy Dees intitolato “The Tropoholic’s Guide to Internal Romance Tropes“, edito nel 2023.


Il trope del “forbidden love”: significato e implicazioni

Partiamo da una definizione semplice e intuitiva, ripresa dai super-competenti curatori di “Tv Tropes“:

«Fin da quando la gente ha iniziato a innamorarsi, le norme sociali hanno impedito ad alcuni di noi di stare insieme. Il trope del “forbidden love” si applica ogni volta che un tabù cerca di impedire a due individui di ingaggiare (apertamente) una relazione. Il che può confluire in una relazione segreta, in un patto suicida, in un amore platonico o in un lieto fine. Presenta delle affinità con il trope degli Star-Crossed Lovers, che però riguarda una serie di specifiche circostanze che concorrono a separare i due amanti, piuttosto che le norme sociali. Potrebbero, tuttavia, esistere delle sovrapposizioni

Piuttosto chiaro, no?

Benissimo, allora passiamo a un’altra domanda: quali sono i generi che prevedono, più frequentemente, il ricorso all’uso del trope del “forbidden love”?

Secondo Seacrows Books, il trope dell’amore proibito può essere trovato all’interno di tantissimi generi (probabilmente tutti, aggiungerei io…), ma è più frequente nelle opere di contemporary romance, historical romance o paranormal romance.


Generi e sviluppi moderni

L’articolo citato procede a spiegare che:

  • Nel contemporary, l’amore proibito nasce spesso dalla disapprovazione della società, dalle differenze culturali o da una storia personale complessa. Questo genere di storia esplora questioni che hanno a che fare con la vita moderna di ogni giorno e con il tormento emotivo che deriva dall’atto di sfidare le aspettative sociali.
  • Nell’historical romance, le ambientazioni storiche procurano uno sfondo molto fertile per il trope del “forbidden romance”, in cui la divisione di classe, i matrimoni combinati e le rigide norme sociali creano ostacoli (almeno apparentemente) insormontabili per i due innamorati. L’attrattiva di questo trope risiede nella tensione drammatica fra dovere e desiderio, tradizione e passato.
  • Nel paranormal romance, il trope del “forbidden love” assume un twist sovrannaturale. Relazioni fra umani e vampiri, licantropi o altre creature sovrannaturali determinano spesso l’insorgere di ostacoli significativi, includendo rischi di separazioni dovuti a immortalità, differenza d’età, pericolosi poteri e leggi sovrannaturali.

In passato, i trend più comuni tendevano a far ruotare questo trope intorno al tema delle differenze di classe, dei matrimoni combinati e dei tabù religiosi. I finali erano spesso tragici, per enfatizzare il pericolo insito nella sfida alle catene che la società impone, inevitabilmente, all’individuo.

In tempi più recenti, invece, il trope del “forbidden romance” si è esteso ad abbracciare anche il fattore dell’inclusività. Relazioni LGBT, storie d’amore interraziali e relazioni fra persone appartenenti a fazioni politiche (o etiche) radicalmente opposte (vedi il trope contiguo dell’enemies-to-lovers) hanno dunque preso il sopravvento.

Anche i finali sono cambiati: di solito, si tende adesso a offrire ai lettori delle risoluzioni più speranzose, quando non addirittura degli happy ending, in modo tale da riflettere una visione più progressista e ottimista della nostra società.


Figure ricorrenti e scene-chiave del trope del “forbidden love”

Qualunque sia il tuo genere di riferimento, Cindy Dees ci ricorda che il trope del “forbidden love” si basa su una serie di importantissime scene-chiave.

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Come scrivere un (buon) dialogo: Elizabeth George e il THAD


come scrivere un dialogo - elizabeth george e il thad

Come scrivere un dialogo”: ecco una questione con cui qualsiasi autore, prima o poi, verrà chiamato a confrontarsi.

Dopotutto, quella di scrivere dialoghi, nel contesto di un romanzo o in un racconto, è un’arte estremamente delicata.

Tanto per cominciare, bisogna sempre tenere presenti le regole dello “show, don’t tell”. E ricordarsi che uno dei primi obiettivi di un buon dialogo consiste nel cercare di «svelare un personaggio attraverso la sua voce

Ho preso in prestito quest’ultima citazione da Elizabeth George, una delle più popolari autrici americane di romanzi gialli a tema poliziesco.

In realtà, una buona parte dei suggerimenti in cui ti imbatterai all’interno di questo articolo è stata tratta proprio dall’incisivo manuale “L’Arte di Costruire un Romanzo”, pubblicato dalla George nel corso del 2020.

Una lettura molto utile e interessante, che ti consiglio senz’altro di recuperare. Peraltro, una rapida ricerca online ti confermerà la disponibilità del volume anche in italiano, in una comoda edizione economica proposta da Tea.


Gli obiettivi di un buon dialogo

«Le parole pronunciate dai personaggi all’interno dei dialoghi servono a rivelare, ammettere, incitare, accusare, mentire, informare, manipolare, sviare, suggerire, ordinare, incoraggiare e così via, e rappresentano anche un modo efficiente per far proseguire la storia.»

L’Arte di Costruire un Romanzo – Elizabeth George

Secondo Elizabeth George, in un romanzo una scena di dialogo ha il compito fondamentale di assolvere ad almeno una di queste funzioni:

  1. Illustrare al lettore la natura della persona che parla (carattere, intenzioni, educazione, background, sistema culturale di appartenenza ecc.), attraverso il suo peculiare modo di esprimersi;
  2. Aggiungere uno strato di significati sottintesi a quanto già sappiamo, sollecitando interrogativi e curiosità nella mente del lettore;
  3. Permettere alla storia di avanzare.

Un dialogo che non riesce a rispondere a nessuno di questi requisiti, deve essere eliminato dalla stesura definitiva del tuo romanzo senz’ombra di esitazione.

Perché non servirebbe A NIENTE.

A parte, forse, a tediare il lettore, incoraggiandolo a mettere da parte il tuo libro senza pensarci due volte.

Queste dichiarazioni della George si trascinano dietro un evidente (quanto fondamentale) corollario:

per scrivere un buon romanzo, bisogna, prima di tutto, imparare a differenziare il modo di parlare dei vari personaggi.

Prova a fare un giretto in stazione, e tieni le orecchie bene aperte.

Che cosa scoprirai? Che non esistono due persone inclini a esprimersi nello stesso e identico modo. Perché le varie scelte di linguaggio, l’accento, l’organizzazione della sintassi, le espressioni gergali ricorrenti, l’inflessione e, in alcuni casi, perfino il modo di accompagnare le parole gesticolando, in realtà sono in grado di riflettere la personalità e l’identità socio-culturale del parlante sopra ogni cosa.

Mi segui?

Sono tratti caratterizzanti.

E parte integrante del tuo processo di creazione di un personaggio: protagonista, villain, o altro che sia.


Come scrivere un dialogo: impara a evitare la “Sindrome delle Teste Parlanti”

Naturalmente, non è possibile scrivere un buon dialogo ricorrendo alla sola scansione diretta.

La forma e il contenuto delle singole battute andranno sempre curati con meticolosa attenzione, si capisce. Peraltro, stando bene attenti a evitare gli infodump, soprattutto nell’odiosa forma del meccanismo “As You Know, Bob“.

Ma altrettanta importanza rivestono (o dovrebbero rivestire, in un mondo ideale…) le azioni destinate ad  accompagnare le suddette battute.

Per illustrare meglio il concetto, anni fa Elizabeth George ha coniato, insieme ai suoi studenti di un corso di scrittura creativa, il termine THAD: un acronimo che sta per “Talking Head Avoidance Device” (Matteo Camporesi traduce l’espressione, giustamente, in maniera pressoché letterale: “Dispositivo Per Evitare le Teste Parlanti”).

A che cosa serve il “THAD”?

Ancora una volta, cediamo la parola direttamente alla George:

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“Scrivere Gialli di Successo” di Paolo Roversi: un’introduzione all’arte di scrivere crime stories



Scrivere Gialli di Successo”: si chiama così il recente manuale di scrittura creativa firmato da Paolo Roversi, noto scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano.

Un libricino piacevole e snello, in grado di elargire preziose nozioni di progettazione narrativa a tutti gli aspiranti autori di crime stories.

Divulgativo, scorrevole e infarcito di aneddoti , questo volumetto offre ai neofiti un’infarinatura generale e una manciata di suggerimenti tratti dal bagaglio di esperienze professionali di Roversi.

Una circostanza che, agli occhi dei suoi fan inossidabili, rappresenterà senz’altro un valore aggiunto… ma anche un mezzo per ravvivare il loro entusiasmo nei confronti del genere mistery o del noir!


scrivere gialli di successo - paolo roversi - editrice bibliografica

Di cosa parla “Scrivere Gialli di Successo”

Il manualetto di Paolo Roversi è una vera e propria “guida” alla scrittura di un romanzo giallo.

146 pagine di definizioni, esempi e qualche suggerimento operativo, in cui Roversi passa in rassegna parecchi temi fondamentali: si parte dalla ricerca dell’ispirazione e dalla necessità di imparare a sviluppare un’idea forte, per passare alla gestione delle sottotrame, all’ambientazione e alla costruzione dei personaggi.

Il 90% dei consigli contenuti all’interno di “Scrivere Gialli di Successo” si basa su fondamenta solidissime.

Seguirli ti aiuterà senz’altro a migliorare e a rendere più coinvolgente il tuo lavoro. anche perché Roversi pone ripetutamente l’accento su un paio di punti che, come sai, possono rivelarsi di importanza vitale per qualsiasi aspirante autore:

  1. La necessità di leggere (e leggere molto), per imparare ad attribuire il giusto valore alle aspettative dei lettori;
  2. Il bisogno di imparare a progettare e costruire le proprie storie, un tassello alla volta, come un paziente artigiano che cesella il suo capolavoro.

Scrivere è un lavoro serio. Anzi: è un lavoro, punto e basta!

Roversi dimostra un talento speciale nel relazionarsi all’aspirante autore. Le sue tonalità, incoraggianti e colloquiali, riescono a mettere il lettore a proprio agio, anche perché non stentano a riconoscere alle aspirazioni narrative di quest’ultimo tutta l’agognata dignità del caso.

Puoi riuscirci, sembra recitare il motto personale dell’autore. Qualsiasi cosa è possibile, purché ti armi dell’impegno necessario e ti prepari a lavorare per il tuo sogno.

D’altra parte, in nessun momento Roversi si dimostra interessato a nascondere al neofita i risvolti più faticosi della professione (vedi l’ironico capitolo “Alla ricerca di un editore”), o la necessità di applicare alla pratica quotidiana una ferrea disciplina.

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