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“My Darling Dreadful Thing”: la recensione del libro gotico di Johanna van Veen


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Posso rivelarti un segreto? La lettura di “My Darling Dreadful Thing“, il romanzo gotico d’esordio di Johanna van Veen, mi ha creato più momenti di frustrazione che emozioni, brividi o spunti di riflessione.

In realtà, si tratta di un libro che, all’estero, ha sicuramente riscontrato più pareri positivi che negativi. E non sarò certo io a mettere in discussione i numerosi pregi di questa tragica, semi-delirante storia di dolore, abusi e fantasmi: del resto, Johanna van Veen ci sa sicuramente fare con le parole… Tant’è che, sotto certi aspetti, alcuni passaggi di “My Darling Dreadful Thing” mi hanno addirittura ricordato l’atmosfera vibrante e suggestiva di alcune opere dell’immensa Sarah Waters!

Ma non vedo proprio perché dovrei mentire o sovrastimare il mio livello di coinvolgimento nei confronti di un romanzo che, a conti fatti, è riuscito a trasmettermi soltanto un grandissimo senso di scoraggiamento, noia e delusione…


La trama

Roos Beckman ha uno spirito-companion, una ragazza fantasma che soltanto lei riesce a vedere. Il suo nome è Ruth: una creatura bizzarra, simile a un cadavere ambulante, defunto da secoli.

Ruth è l’unica luce nella vita di Roos. La ragazza, infatti, è stata allevata da una madre abusiva quanto scaltra, che la costringe a esibire le sue notevoli doti di medium/ciarlatana fin dalla più tenera età.

Ruth è sempre stata la sua unica amica. Bè, almeno fino a quando nella sua vita non irrompe, con la forza di un uragano, la ricca e vitale Agnes Knoop, una giovane vedova determinata a mettere alla prova le capacità spirituali di Roos. Basta una singola seduta, infatti, e fra le due giovani donne inizia a instaurarsi una potente, magnetica connessione.

Agnes strappa via Roos dalle grinfie di sua madre e la conduce nella decadente magione che ha ereditato dopo la morte del marito. La sorella di quest’ultimo, Wilhelmine, bellissima e afflitta da una malattia mortale, infesta i corridoi della magione come se fosse già uno spettro. Come se non bastasse, nel cuore della notte strani odori sembrano indugiare nei corridoio, e alcune raccapriccianti statue di santi risiedono nella cappella abbandonata della famiglia, a testimonianza del fanatismo del loro capostipite.

Un’essenza terrificante ammorba l’aria della magione: Roos se ne accorge subito, ma non può negare l’attrazione che sente crescere nei confronti di Agnes.

E così, una notte terribile, la morte si abbatte sul maniero. Qualcuno finisce assassinato. Per provare la propria innocenza – e la propria sanità mentale – Roos sarà costretta a svelare, al di là di ogni dubbio, chi – o cosa – sia stato responsabile di tanta violenza e depravazione. O perdere tutto ciò che ha di più caro nel tentativo.


My Darling Dreadful Thing“: la recensione

Il cult di Shirley Jackson “Abbiamo Sempre Vissuto nel Castello” incontra “Crimson Peak” di Guillermo del Toro: potrebbe essere una descrizione abbastanza accurata per il libro di Johanna van Veen… Anche se, a conti fatti, immagino che nessuno di questi due titoli sia in grado di rendere un’idea del livello di tristume, morbosità e miseria che sembra permeare ogni singola pagina di questo acclamato romanzo gotico del 2024.

A dire il vero, però, mi verrebbe spontaneo fare un paragone soprattutto con il meno conosciuto “Daphne Byrne“, una miniserie a fumetti di Laura Marks e Kelley Jones (pubblicata in Italia da Panini).

Si tratta, ad ogni modo, di una storia che affronta molti temi classici della narrativa gotica, abbracciando la maggior parte dei tropes cari a questo genere e confezionando una storia allucinante e spietata, perennemente in bilico fra veglia e sonno, vita e morte, lucidità e follia.

L’argomento della psicanalisi diventa particolarmente centrale, grazie all’introduzione del personaggio di un tenace dottore determinato a scoprire la brutale “verità” che potrebbe celarsi dietro le apparenti farneticazioni di Roos. Non per niente, i (numerosi) fantasmi di “My Darling Dreadful Thing” sembrano incarnare, più che il “Male” inteso come forza assoluta, i mali della nostra società: abusi sessuali, trauma, pregiudizio, razzismo, omofobia, repressione religiosa ecc.

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“You’re Dead To Me”: la recensione del libro YA di Amy Christine Parker


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You’re Dead to Me“, dell’autrice veterana Amy Christine Parker, è un thriller YA che appoggia la maggior parte del peso della sua struttura su due tecniche principali: il cliché e l’effetto jumpscares.

Il risultato è un romanzo dal taglio, a mio avviso, piuttosto mediocre. Soprattutto dal momento che i personaggi si rivelano tragicamente unidimensionali e l’intreccio, pur nel suo vago retrogusto cinematografico, commette l’errore di concedere al lettore un’eccessiva quantità di indizi prematuri, svelando la propria mano troppo presto e compromettendo la riuscita dei principali colpi di scena.

Se hai meno di quattordici anni, i numerosi cliffhanger e twists sparpagliati per tutta la trama potrebbero anche riuscire a prenderti per la gola. In caso contrario… Che ne diresti di un bel rewatch compulsivo di “Gossip Girl“, piuttosto? ;D


La trama

Ruby frequenta la prestigiosa Oleander High School, un’accademia a cui ha avuto accesso grazie a una borsa di studio. In realtà, la sua mamma single annega in un mare di guai finanziari a causa delle conseguenze di un matrimonio sbagliato e della fallimentare attività di famiglia, un parco acquatico/zoo sull’orlo della chiusura.

La maggior parte degli studenti tratta Ruby con condiscendenza a causa delle sue origini. Questo, ovviamente, la indispone profondamente; soprattutto dal momento che l’elite cittadina sembra sempre pronta ad approfittarsi di chiunque si trovi in una posizione più debole per continuare a rimpinguarsi il portafogli.

Ruby attua la sua vendetta attraverso il famoso account locale di gossip, ReputationKiller. Ma quando salta fuori che è lei la responsabile della “caduta” di diversi nomi prominenti in città, l’intera comunità si rivolta contro di lei.

Tuttavia, soltanto nel momento in cui una terrificante visione del suo suo stesso fantasma, avvolto in un abito da ballo impregnato di sangue, si manifesta davanti ai suoi occhi, Ruby inizia a capire fino a che punto la sua situazione personale stia diventando drammatica.

Perché più di una persona ha giurato vendetta contro di lei. E Oleander Bay non è affatto quella pittoresca, tranquilla cittadina da cartolina che si sforza di sembrare.

Qualcuno ha deciso di uccidere Ruby. E, con così tanti segreti, scandali e colpi di scena in ballo, il suo aspirante assassino potrebbe essere, letteralmente… chiunque.


You’re Dead to Me“: la recensione

Fra le (poche) cose che mi sono piaciute di “You’re Dead to Me“, non posso fare a meno di citare la sua torrida, assolata ambientazione: dopotutto, non ho letto tantissimi thriller per ragazzi ambientati nelle Everglades, il caratteristico ecosistema umido e paludoso della Florida.

Coccodrilli e acquitrini giocano un ruolo di primo piano all’interno del romanzo di Amy Christine Parker. E intendo questo da un punto di vista letterale, quanto simbolico, dal momento che l’intreccio pullula di alligatori in giacca, Rolex e cravatta e di pantani traboccanti di menzogne!

Se ti piacciono le storie plot-driven, sospetto che potresti apprezzare anche l’inenarrabile concentrazione di colpi di scena e la catena di morti a casaccio, in perfetto stile slasher, che l’autrice collega all’improbabile subplot di un serial killer mascherato a spasso per la città.

Per quanto mi riguarda, ho avuto la netta impressione che l’autrice stesse cercando di mettere sul fuoco più carne di quanta fosse in grado di masticarne – fra oscuri segreti famigliari, turpi apparizioni di ragazze dai capelli gocciolanti e cloni imbranati di Ghostface – e che la narrazione mancasse drammaticamente di focus.

Probabilmente perché la protagonista di “You’re Dead to Me” è una delle eroine YA più anonime e deludenti di cui abbia letto ultimamente. Non c’è davvero modo di coinvolgere il lettore negli sviluppi del suo “viaggio interiore”; quando la sua caratterizzazione si basa, essenzialmente, su un grappolo di stereotipi presi in prestito da questo o quell’altro trascurabile personaggio televisivo…

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“Le Trafficanti di Anime”: la recensione del libro gotico di Carmella Lowkis


le trafficanti di anime recensione - carmella lowkis

Ti propongo oggi la recensione de “Le Trafficanti di Anime“, un thriller gotico ambientato in Francia, nel pieno del diciassettesimo secolo. La casa editrice Nord ha portato in libreria il libro dell’esordiente Carmella Lowkis il 27 agosto 2024.

La trama verte sul complicato legame fra due sorelle legate da un passato turbolento e dalle conseguenze di uno scandalo che nessuna delle due riesce a lasciarsi alle spalle. Messe alle strette dalle circostanze, si ritroveranno a indossare di nuovo i loro panni di medium/ciarlatane dell’occulto e a unire le forze per organizzare una pericolosa, ultima truffa ai danni di un’ingenua famiglia aristocratica.

Nelle intenzioni delle ragazze, dovrebbe trattarsi di un piano semplice e indolore. Eppure, l’entità con cui saranno chiamate a fare i conti potrebbe rivelarsi molto più reale e temibile del previsto…


La trama

Parigi, 1866. Quando la Baronessa Sylvie Devereux riceve la visita di Charlotte Mothe, la sorella che ha fatto di tutto per lasciarsi alle spalle, si impossessa di lei il terrore che il suo infame passato da medium e appassionata dell’occulto possa intervenire a compromettere la sua reputazione attuale.

Anche perché il nuovo marito di Sylvie, un blasonato e ricco avvocato che ha parecchi anni più di lei, difficilmente sarebbe disposto a tollerare una simile minaccia al proprio rango di di prestigio in seno all’alta società.

Ma Charlotte ha un padre gravemente ammalato a carico, e nessuna possibilità di pagare i conti. E così, Sylvie si lascia persuadere a ricadere nelle vecchie abitudini e ad aiutare la sorella minore a portare a compimento un’ultima truffa.

I loro bersagli sono i de Jacquinots: una famiglia aristocratica altamente disfunzionale, il cui capofamiglia insiste a proclamarsi perseguitato dal fantasma di una zia, brutalmente assassinata nel corso della Rivoluzione Francese.

Sylvie e Charlotte saranno costrette a ricorrere a tutto il loro vasto repertorio di trucchi per terrorizzare la famiglia e persuaderla a separarsi da un (bel) po’ del suo oro.

Tuttavia, nella decadente magione dei de Jacquinots potrebbe essere in atto qualcosa di davvero sinistro. Così, quando una serie di inesplicabili orrori prende ad abbattersi sulle due sorelle e sui loro incauti clienti, le ragazze saranno costrette a porsi la fatidica domanda: e se una forza sovrannaturale si fosse veramente scatenata sui de Jacquinot?

Ma un’entità di che tipo, poi? Lo spirito vendicativo di una contessa massacrata dai rivoluzionari?

O qualcosa di peggio… che finge soltanto di essere la prozia, mentre aspetta di portare avanti i suoi piani e si prepara a esigere il suo tributo di sangue?


“Le Trafficanti di Anime”: la recensione

“Le Trafficanti di Anime” è il titolo scelto dalla Nord per la traduzione (a cura di Claudine Turla) del romanzo gotico “Spitting Gold” di Carmella Lowkis.

Un esordio che ha riscosso un buon successo da parte della critica, dividendo invece il pubblico pressappoco a metà: coloro che hanno apprezzato le numerose somiglianze fra la storia delle sorelle Mothe e alcuni celebri capolavori di Sarah Waters (soprattutto “Ladra” e “Affinità), e quei lettori che, invece, non hanno potuto fare a meno di notare come un confronto troppo diretto fra le due autrici possa risolversi soltanto con una completa debacle da parte della Lowkis.

Anche se non me la sento di esprimere un giudizio troppo negativo (ci sono aspetti de “le Trafficanti di Anime” che ho sinceramente apprezzato), ammetto di propendere un po’ di più per questa seconda versione.

Non fraintendermi: il modello letterario è innegabile. Probabilmente questo aspetto rappresenta una buona parte del problema: mi è bastato ripensare un attimo al complesso intreccio di “Fingersmith” per immaginare quali avrebbero potuto essere i principali colpi di scena de “Le Trafficanti di Anime”, nonché per prevedere in quali punti del plot avrebbero fatto la loro comparsa e su che tipo di sviluppi avremmo potuto contare.

E il Kirkus Review ha ragione: il libro di Carmella Lowkis è davvero un coinvolgente «thriller romantico a sfondo sovrannaturale», scritto da un’autrice in grado di intessere un racconto ricco di stratificazioni e di inganni. Solo che i suoi personaggi, secondo me, non si rivelano neanche remotamente intriganti o sfumati abbastanza da reggere il gioco fino a fine partita.

Anche perché gli indizi sparpagliati nell’arco delle prime cento pagine ti permettono di smascherare i loro obiettivi e di percepire immediatamente il bluff nel tremolio nelle loro voci narranti…


Fiaba della Sorella Buona e della Sorella Cattiva

In compenso, ho amato alla follia l’accattivante parallelismo fra le storia delle sorelle Mothe e il regno delle fiabe. L’ambiguità del Rospo (personaggio chiave della favola tanto amata da Sylvie), il modo sottile ma tenace con cui l’autrice continua a giocare con questo leitmotiv simbolico per farci capire che non esiste una sola verità, che ogni storia può essere letta secondo (almeno) due differenti versioni e che chiunque cerchi di darci a intendere il contrario sta mentendo a noi o a se stesso…

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“Murder Road”: la recensione del thriller di Simone St. James


murder road recensione - simone st james

La recensione di “Murder Road” è qui per testimoniare che nessuno può resistere al fascino di una bella edizione… tantomeno io!

Devi sapere che, dopo aver letto “Ragazze Infrante“, avevo praticamente promesso a me stessa che non avrei comprato altri romanzi di Simone St. James. Ma sto collezionando i volumi della box horror Evernight di Illumicrate, e “Murder Road” era il titolo proposto per il mese di aprile, e… Sai, nonostante le mie numerose eccentricità libresche, continuo a credere in quella vecchia massima che dice che i libri vanno rispettati leggendoli, non lasciandoli lì sulla mensola di una scaffale a prendere polvere.

Perciò…

Anche se con qualche tentennamento, ho letto il nuovo thriller a sfondo sovrannaturale di Simone St. James. La trama, dopotutto, aveva un suono intrigante. Voglio dire, una coppia di protagonisti moralmente ambigui? Un narratore (potenzialmente) inaffidabile? Fantasmi e autostoppisti coinvolti in un vero mistero alla “X-Files”?

Ah, ma ormai dovresti saperlo, amico lettore: io vivo per questo genere di storie…


La trama

April e Eddie hanno imboccato la curva sbagliata.

Adesso, si trovano su una strada lunga e oscura. Il cielo è buio, la notte è calata da un pezzo, e all’improvviso i due neo-sposini si imbattono in una donna, stordita e arrancante sul ciglio della strada.

Chiaramente, la sconosciuta è nei guai. Eddie ferma la macchina e April si protende ad aiutarla. Soltanto quando la donna è già salita in macchina, i due si accorgono che sta perdendo litri di sangue.

E poi, Eddie e April vedono le luci dei fari e sentono il sussurro della donna, roco e terrorizzato:  «Mi dispiace. Lui sta arrivando

Anche se il gruppo riesce a scappare – per il momento – la loro terrificante avventura è appena cominciata. Perché le ferite dell’autostoppista si rivelano fatali; così, la coppia si ritrova intrappolata nella piccola città di Coldlake Falls… e la polizia ritiene che siano proprio loro due i principali sospettati dell’omicidio.

Salta fuori che ci sono state altre vittime, e che non è la prima volta che qualcuno svanisce lungo quella dannata strada nel bosco. Chi è riuscito a sopravvivere, ha parlato di eventi che non possono essere spiegati.

Per lasciare la città e tornare alle loro vite, April e Eddie saranno costretti a risolvere il mistero in prima persona… a costo di rischiare le loro stesse vite.


“Murder Road”: la recensione

Piccola avvertenza ai lettori: non penso affatto che “Ragazze Infrante” sia un brutto romanzo. Anzi. C’è sicuramente qualcosa di ipnotico in quella storia, e bisogna dire che il livello di caratterizzazione generale si attesta su dei livelli piuttosto buoni.

Che poi sono le stesse qualità che ho ritrovato, prendere o lasciare, anche fra le pagine di “Murder Road”. Anche perché Simone St. James è un’autrice che ha capito alla perfezione il significato di “spooky vibes“. E che, ormai, ha imparato a declinare il paradigma dello small town mistery praticamente alla perfezione…

A cominciare dalle interessanti backstory dei protagonisti, che riescono a rivelare i loro segreti al lettore in maniera lenta e appagante, e dagli eccentrici, deliziosi personaggi secondari che danno colore a questo nuovo lavoro. Le due sorelle indagatrici dell’incubo mi sono piaciute in modo particolare, e penso davvero che l’improbabile proprietaria di bed and breakfast Rose meriterebbe – al pari della mitica Holly Gibney kinghiana – una serie di libri tutta dedicata a lei.

Peccato che io sia una lettrice di thriller particolarmente esigente, insomma. E che quasi nessun altro aspetto della narrazione – compresi i colpi di scena – sia riuscito a soddisfare le mie (discutibili) aspettative…


Da “From” a “Ghost Whisperer”

Perché, anche in questo caso, mi è sembrato che la narrazione fallisse proprio là dove il mio minuscolo cuoricino gotico insiste sempre a ricercare le gioie più grandi: la gestione dell’elemento sovrannaturale.

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“A House with Good Bones”: la recensione del libro gotico di T. Kingfisher


a house with good bones recensione - t kingfisher

La recensione di “A House with Good Bones” arriva sul blog in notturna: un’anomalia, dovuta al fatto che il destino ci ha messo lo zampino, mandando completamente a monte tutti i miei programmi per la giornata.

Ma non vedevo l’ora di raccontarti qualcosa a proposito del nuovo libro horror di T. Kingfisher!

Un’autrice che ho conosciuto grazie al delizioso retelling fiabesco “The Raven and the Reindeer, e imparato ad amare attraverso il brividoso e divertentissimo survival “The Hollow Places”.

“A House with Good Bones”, southern gothic dalla personalità spiccatissima, contiene tutti gli elementi che abbiamo imparato ad associare a questo genere: una casa (probabilmente) infestata, un’atmosfera inquietante e misteriosa, una sfilza di rapporti famigliari complicati e una protagonista dalla voce assolutamente indimenticabile…

Certo: l’intreccio risulta penalizzato da una serie di twist a dir poco prevedibili. Per non parlare di una risoluzione frettolosa che, nel terzo atto, tende a mettere alla prova la sospensione dell’incredulità del lettore con una certa insistenza.

Ma l’inconfondibile piglio ironico della Kingfisher, combinato all’irresistibile sense of humor e alla lucida vena dissacrante della sua protagonista, rendono la lettura di questo romanzo un’esperienza unica, spassosa ed elettrizzante.

Minacciando di scatenare (in maniera del tutto deliberata) un’esplosione di ilarità incontrollata, perfino nei momenti di massima tensione…


La trama

«La mamma sembra un po’ strana

Da quando suo fratello ha pronunciato queste parole, Sam Montgomery non riesce a scacciare una certa preoccupazione.

Le sente ancora echeggiare nella mente, mentre imbocca la tranquilla stradina della Carolina del Nord in cui vive sua madre, sola.

Sam cerca di allontanare il pensiero con tutte le sue forze. Il suo scavo archeologico è appena stato annullato, per cui le toccherà trascorrere qualche mese nella sua vecchia casa d’infanzia. E, in realtà, l’idea di una visita prolungata non le dispiace del tutto, soprattutto considerando lo splendido rapporto che lei e la mamma hanno sempre condiviso.

Sam è felicissima di poter trascorrere del tempo con lei. Solo loro due, intente a bere vino direttamente dal cartone, guardare uno dei loro adorati murder mistery britannici alla tv, cercando di indovinare l’identità del killer prima del solito detective di turno.

Eppure, non appena mette piede in casa, Sam si accorge che la sua vecchia dimora non è più il porto sicuro di un tempo. L’accogliente charm per cui sua madre è sempre stata famosa sembra svanito nel nulla; adesso, le mura sono dipinte di uno sterile e freddo bianco.

La mamma salta in aria al minimo rumore e si guarda costantemente alle spalle, anche quando è lei l’unica altra persona presente nella stanza. E quando Sam esce in giardino per schiarirsi le idee, si imbatte in una giara piena di denti nascosti sotto un cespuglio di rose, una pianta degna delle pagine di una rivista patinata.

Per non parlare dello stormo di avvoltoi che continua a sorvolare il loro cortile dall’alto…

Che cosa sta succedendo alla mamma? Perché è così spaventata? Per scoprirlo, Sam dovrà scavare, alla ricerca della verità.

Ma, forse, sarebbe meglio lasciare sepolti certi segreti



“A House with Good Bones”: la recensione

T. Kingfisher tende a scrivere quel tipo di horror alla portata di tutti, che nessun estimatore del genere sano di mente prenderebbe mai in considerazione di lasciarsi sfuggire.

Suona un po’ paradossale, detta così, non è vero?

Eppure, ti giuro che è proprio così!

Nel suo “A House with Good Bones”, seguiamo il punto di vista – scientifico e iper-razionale – di Sam, una paleoentomologa appassionata di insetti e di archeologia. Una donna con la testa sulle spalle e dalla battuta sempre pronta, liberale e piena di vita, che gode di un ottimo rapporto con sua madre, una signora del Sud dall’intelletto vivace e la spiccata indole ribelle.

In realtà, credo di non essermi mai imbattuta in un horror famigliare incentrato su una relazione madre-figlia così positiva. Devo dire che si è trattato di una piacevole novità. Anche perché la mamma di Sam, Edie, è davvero un personaggio fantastico, adorabile in ogni sua sfumatura.

Ed è proprio il gramo senso di minaccia che sembra aleggiare su di lei ad irretirci nella lettura, in un primo momento, coinvolgendoci nei dubbi di Sam e costringendoci a porci ripetutamente la fatidica domanda: e se la povera Edie stesse impazzendo?

Perché, d’un tratto, questa mamma così schiva e amorevole sembra sempre così sulle spine? Per quale motivo finge di non ricordare dettagli importanti dell’infanzia di Sam e di suo fratello?

Sarà la demenza? Un semplice attacco di senilità precoce? O… qualcos’altro?

Qualcosa di molto più sinistro, che l’implacabile mente analitica di Sam – da sempre aversa a qualsiasi tipo di superstizione – fa infinitamente fatica ad accettare.

Perché, tendenza al gaslighting a parte, di punto in bianco Edie ha preso l’abitudine di uscirsene con una serie di atteggiamenti che sembrano suggerire un’inquietante somiglianza con il modus operandi della propria madre – una vegliarda bigotta e severa, defunta da anni e razzista fin nel midollo, incline a incutere un sacro terror nero nel cuore dei suoi stessi nipoti…


Danza Macabra

Ero indecisa se menzionarlo o meno, dal momento che si tratta di un fattore completamente secondario. Ma la mia recensione di “A House with Good Bones” potrebbe forse dirsi completa, se mancassi di riferire un pensiero che si è più volte impadronito di me durante la lettura?

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“She is a Haunting”: la recensione del libro horror di Trang Thanh Tran


she is a haunting recensione - Trang Thanh Tran

La recensione di “She is a Haunting” conterrà zero spoiler, un paio di crisi esistenziali, tanti fantasmi e una dose di riferimenti tutt’alto che ingiustificati a “Mexican Gothic” di Silvia Moreno-Garcia!

Il libro d’esordio di Trang Thanh Tran è uno degli horror YA più chiacchierati di questa prima parte dell’anno. Ne abbiamo sentito parlare sui social e nei siti specializzati; la sua pittoresca cover si è materializzata un po’ dappertutto; i paragoni con il leggendario “Incubo di Hill House” si sono sprecati…

A questo punto, ti starai forse chiedendo: ma ne sarà poi valsa la pena, di coltivare tutto quest’hype?

Cerchiamo di scoprirlo insieme! ;D


La trama

Per cercare di inserirsi, Jade Nguyen ha sempre dovuto mentire.

Non è mai stata abbastanza etero, abbastanza vietnamita o abbastanza americana per riuscire a trovare il suo posto senza problemi. La situazione non cambia quando, a causa di un disperato bisogno di denaro, decide di accettare la proposta di suo padre di trasferirsi da lui in Vietnam per un breve soggiorno di cinque settimane.

Jade non è in buoni rapporti con suo padre. Non lo vede quasi mai, tanto per iniziare. E, comunque, non riesce a perdonarlo per aver abbandonato la sua famiglia, quando lei era ancora soltanto una bambina.

Come se non bastasse, il genitore sembra letteralmente ossessionato dall’idea di riportare ai fasti di un tempo una vecchia casa decrepita risalente al periodo coloniale francese.

Ma Jade è determinata a stringere i denti, se questo significa ottenere da lui il denaro di cui ha bisogno per iscriversi all’università.

Dopo pochi giorni, però, la ragazza inizia a svegliarsi ogni mattina in preda alla confusione più totale. Ha come l’impressione che qualcosa si ostini a strisciare lentamente giù per la sua gola… E poi, Jade si imbatte nel fantasma di una bellissima sposa. Una presenza che continua a farle visita in sogno, recando un unico, criptico avvertimento: NON MANGIARE.

Quando suo padre e la sua sorellina si rifiutano di crederle, Jade decide di provare a spaventarli per convincerli a lasciare la casa, inscenando un’infestazione ectoplasmica tutta sua. In suo soccorso interviene Florence, la vivace nipote del socio in affari di suo padre… un aiuto molto gradito, che rappresenta, a sua volta, una grande fonte di distrazione.

 La casa, però, ha in serbo altri piani. Perché un’abitazione, dopotutto, è forte soltanto quanto coloro che sono disposti a infondere nuova linfa nelle sue ossa.

E questa casa non è disposta a rimanere sola un’altra volta, a nessun costo…



“She is a Haunting”: la recensione

Se la trama dell’opera d’esordio di Trang Thanh Tran fosse stata un po’ più incalzante, il ritmo un po’ meno pachidermico (e, magari, scandito da qualche colpo di scena in più) penso che sarei riuscita a innamorarmi perdutamente di questo libro.

Sotto molti punti di vista, infatti, “She is a Haunting” è un romanzo superbo. Può vantare un’atmosfera da brividi, tanto per cominciare, e una sensazione strisciante di costante paranoia che, a lungo andare, finisce per logorare i nervi del lettore nel più delizioso ed elettrizzante dei modi.

Contiene anche una delle migliori rappresentazioni dei disturbi d’ansia in cui mi sia mai imbattuta, soprattutto nel novero della narrativa fantastica per ragazzi. La lotta di Jade contro la sindrome della paralisi del sonno e i suoi martellanti pensieri intrusivi – miei nemici personali da almeno diciassette anni – risulta persuasiva, incalzante e dannatamente credibile, ragazzi!

Ma non è tutto.

Oltre ai temi del colonialismo, della diaspora e del senso di straniamento che deriva dal sentirsi tagliati fuori dalle proprie radici, “She is a Haunting” affronta benissimo anche l’argomento della repressione sessuale.

Nel farlo, ricorre a un immaginario cupo e disturbante, degno del popolarissimo “Mexican Gothic”, senza lesinare un paio di efficaci richiami al mondo del body horror.

I punti di contatto con il famoso libro della Moreno-Garcia non finiscono qui, ovviamente.

Basti pensare alla quantità di spore, insetti e parassiti che affollano le pagine del romanzo. Presenze malefiche e invisibili, che infestano l’aria quanto – e forse più – delle stesse presenze che si aggirano nei corridoi a tarda notte.

Evocate dal linguaggio elegante ed allusivo di Trang Thanh Tran, con il suo carico di sensualità a malapena trattenuta, e dall’energia sprigionata da un milione di tabù culturali perennemente sul punto di infrangersi…

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