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“La Collezionista di Anime”: la recensione del libro di Kylie Lee Baker


la collezionista di anime recensione - kylie lee baker

È possibile scrivere una recensione de “La Collezionista di Anime”, romanzo fantasy di Kylie Lee Baker, senza affrontare lo spinoso argomento delle traduzioni targate Fanucci?

Ho paura di no.

Perché l’italiano sgangherato e improbabile che caratterizza l’80% del catalogo recente della nota casa editrice romana – incluso questo titolo – sta cominciando a diventare un problema. Non è l’unico motivo che mi impedisce di consigliare ai fan del genere la lettura de “La Collezionista di Anime”, sia chiaro.

Ma è comunque la ragione che mi spinge a dire: «Se volete leggerlo, acquistate l’edizione in lingua originale». Anche se l’oggettiva bellezza della copertina italiana basta a tingere questo consiglio di una lieve sfumatura dolceamara…


La trama

Londra, 1890. Ren Scarborough è per metà Mietitrice, per metà Shinigami. In ogni caso, la sostanza non cambia: raccogliere le anime dei defunti ha sempre fatto parte del suo destino.

Ren è cresciuta a Londra, la città di suo padre. Ma l’unico che sembri avere a cuore il suo destino è il fratellastro, Naven: dal punto di vista di tutti gli altri Mietitori londinesi, infatti, Ren non è altro che una meticcia, un’incapace e una piantagrane, non necessariamente in quest’ordine.

Tant’è che maltrattare Ren è diventato, per molti dei suoi “colleghi” Mietitori, una specie di passatempo del cuore.

Tuttavia, un giorno alcuni di loro commettono l’errore fatale di tirare un po’ troppo la corda; senza volerlo, Ren ricorre quindi ai suoi poteri di Shinagami per fermare le percosse.

Da quel momento in avanti, è come se qualcuno avesse dipinto un bersaglio scarlatto sulla sua schiena.

Ren deve lasciare Londra, e in fretta.

L’unica destinazione possibile? Il Giappone, ovviamente; la terra di sua madre e degli altri Shinigami, l’unico posto al mondo in cui Ren è convinta di potersi liberare di paura e pregiudizi.

Tuttavia, non appena si presenta al cospetto della famigerata Dea della Morte giapponese, la ragazza capisce di aver preso un brutto granchio: di fatto, se vorrà ottenere un posto nel suggestivo e inquietante aldilà nipponico, dovrà guadagnarselo.

Versando sangue; suo e degli altri, ma soprattutto altrui.

E sacrificando anime… quelle degli altri, ma soprattutto la sua.


“La Collezionista di Anime”: la recensione

Sotto alcuni punti di vista, “La Collezionista di Anime” è il libro più noioso e ridondante che mi sia capitato di leggere quest’anno.

Descrizioni statiche e personaggi folcloristici di pochissimo (o nessuno) spessore appesantiscono la prosa di Kylie Lee Baker, una zavorra che minaccia di affondare la trama in più di un’occasione.

Le numerose scene d’azione, blande e strutturate in modo tale da riuscire a esercitare un impatto molto limitato (perché la posta in gioco è sempre troppo bassa o troppo condizionata dalla prospettiva avvelenata di Ren), si avvicendano a un ritmo che può essere decritto come “vertiginoso” nella migliore delle ipotesi, e “dissennato” in tutte le altre.

La trama è un pasticcio, quasi dall’inizio alla fine. Il classico modello del Viaggio dell’Eroe, interpretato nel suo senso più letterale, ma eseguito in modo goffo e alquanto rapsodico.

Come premessa di un plot da videogioco, probabilmente l’idea delle tre prove da assegnare a Ren non sarebbe stata malvagia. Ma ritengo che dovrebbe esistere un limite al numero di volte in cui un personaggio può continuare a risolvere i suoi conflitti usando sempre lo stesso trucchetto (toh, qualcuno per caso ha detto “orologio magico”?!).

Per non parlare della spropositata quantità di dialoghi generici, inutili e infantili che minacciano continuamente di sminuire la storia…


Antieroina, o… inumana?

Perché è sicuramente vero che i tre protagonisti de “La Collezionista di Anime” sembrano decisi a battibeccare come massaie per nessuno scopo al mondo, tranne quello di rivelare al mondo la loro scarsa profondità emozionale

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