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“Scrivere Gialli di Successo” di Paolo Roversi: un’introduzione all’arte di scrivere crime stories



Scrivere Gialli di Successo”: si chiama così il recente manuale di scrittura creativa firmato da Paolo Roversi, noto scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano.

Un libricino piacevole e snello, in grado di elargire preziose nozioni di progettazione narrativa a tutti gli aspiranti autori di crime stories.

Divulgativo, scorrevole e infarcito di aneddoti , questo volumetto offre ai neofiti un’infarinatura generale e una manciata di suggerimenti tratti dal bagaglio di esperienze professionali di Roversi.

Una circostanza che, agli occhi dei suoi fan inossidabili, rappresenterà senz’altro un valore aggiunto… ma anche un mezzo per ravvivare il loro entusiasmo nei confronti del genere mistery o del noir!


scrivere gialli di successo - paolo roversi - editrice bibliografica

Di cosa parla “Scrivere Gialli di Successo”

Il manualetto di Paolo Roversi è una vera e propria “guida” alla scrittura di un romanzo giallo.

146 pagine di definizioni, esempi e qualche suggerimento operativo, in cui Roversi passa in rassegna parecchi temi fondamentali: si parte dalla ricerca dell’ispirazione e dalla necessità di imparare a sviluppare un’idea forte, per passare alla gestione delle sottotrame, all’ambientazione e alla costruzione dei personaggi.

Il 90% dei consigli contenuti all’interno di “Scrivere Gialli di Successo” si basa su fondamenta solidissime.

Seguirli ti aiuterà senz’altro a migliorare e a rendere più coinvolgente il tuo lavoro. anche perché Roversi pone ripetutamente l’accento su un paio di punti che, come sai, possono rivelarsi di importanza vitale per qualsiasi aspirante autore:

  1. La necessità di leggere (e leggere molto), per imparare ad attribuire il giusto valore alle aspettative dei lettori;
  2. Il bisogno di imparare a progettare e costruire le proprie storie, un tassello alla volta, come un paziente artigiano che cesella il suo capolavoro.

Scrivere è un lavoro serio. Anzi: è un lavoro, punto e basta!

Roversi dimostra un talento speciale nel relazionarsi all’aspirante autore. Le sue tonalità, incoraggianti e colloquiali, riescono a mettere il lettore a proprio agio, anche perché non stentano a riconoscere alle aspirazioni narrative di quest’ultimo tutta l’agognata dignità del caso.

Puoi riuscirci, sembra recitare il motto personale dell’autore. Qualsiasi cosa è possibile, purché ti armi dell’impegno necessario e ti prepari a lavorare per il tuo sogno.

D’altra parte, in nessun momento Roversi si dimostra interessato a nascondere al neofita i risvolti più faticosi della professione (vedi l’ironico capitolo “Alla ricerca di un editore”), o la necessità di applicare alla pratica quotidiana una ferrea disciplina.

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“L’Isola del Dottor Moreau”: 5 cose che uno scrittore può imparare leggendo il libro di Wells


isola del dottor moreau - analisi libro h g wells

Non esagero quando dico che l’edizione Fanucci de “L’Isola del Dottor Moreau” ha fatto parte della mia TBR per anni.

Dopotutto, dello stesso autore avevo già letto “La Macchina del Tempo”, libro di cui avevo senz’altro apprezzato la visionarietà e la sottile ironia di fondo.

Ma, allora, perché mi sono ritrovata a esitare così tanto?

Bè…

Il problema è che ho una mente iperattiva e facilmente incline alle distrazioni; per cui, forse non ti sorprenderà sapere che sono le nuove uscite, per la maggior parte del tempo, a monopolizzare il mio tempo!

Eppure, paradossalmente, stavolta si dà il caso che sia stata proprio questa mia (comprensibilissima) fascinazione per i titoli appena sbarcati in libreria a spingermi a recuperare il libro di H. G. Wells, pubblicato per la prima volta nel 1896.

Dopotutto, a fine luglio è uscita l’edizione in lingua originale del retelling “The Daughter Of Doctor Moreau di Silvia Moreno-Garcia; l’affermata autrice di “Mexican Gothic” e “Gods of Jade and Shadow”, due romanzi affascinanti e ricchi di seducenti suggestioni morbose.

Per “prepararmi” alla lettura di questo nuovo lavoro, cos’altro avrei potuto fare, se non decidermi a a iniziare la mia bella copia de “L’Isola del Dottor Moreau”?

Ti confermo subito che si è trattato della scelta giusta. In primo luogo, perché “L’Isola del Dottor Moreau” mi ha garantito un’esperienza di lettura insolita, incisiva e ricca di spunti di riflessione.

Ma anche perché il classico di Wells mi ha permesso di assimilare cinque preziose lezioni di scrittura creativa; le stesse che ho intenzione di condividere con te, nel corso di questo articolo…


Spoiler alert!

1.Come usare il “body horror” per richiamare nel lettore un sacrosanto terrore della propria mortalità

Fra le righe della trama de “L’Isola del Dottor Moreau”, si nascondono parecchie metafore, di ordine tanto sociale, quanto metafisico, religioso e perfino esistenziale.

Eppure, su un livello profondo – un livello istintivo –  la prima reazione che la cronaca degli atroci esperimenti compiuti dal protagonista del libro è in grado di suscitare, non ha nulla a che vedere con i cosiddetti sentimenti “elevati” del genere umano.

Compassione, sdegno, etica, raziocinio…

È come se gli eloquenti plot twist del libro di H. G. Wells costringessero tutte queste cose ad “arretrare” nella mente del lettore, per lasciare campo libero a emozioni di natura assai più prosaica e ancestrale: paura. Rabbia. Sgomento. Orrore.

Per scagliarlo, insomma, in una condizione psicologia non troppo dissimile da quella sperimentata dalle tormentate creature del dottor Moreau.

Tieni presente che il body horror è il sottogenere che si propone di raccontare il senso di orrore, assoluto e incontrovertibile, che si prova al cospetto di una violazione del corpo.

Un terrore universale, intriso di sofferenza e non privo di certe particolari connotazioni grottesche, che riesce a estendere la sua fosca influenza sugli abitanti di ogni epoca, ceto e cultura.

La paura del dolore fisico, in fondo, è una delle pochissime cose in grado di accomunarci tutti.

Ed ecco perché NESSUNO sarà mai in grado di restare indifferente di fronte alla raccapricciante storia dello scienziato pazzo Moreau…

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17 modi infallibili per trovare l’ispirazione e scrivere un libro, secondo Jeff Vandermeer


come trovare ispirazione per scrivere un libro

Come si fa a trovare l’ispirazione per scrivere un romanzo?

Da che parte si comincia a cercare un’idea per una nuova storia?

Sembra che tutti gli autori, gli editor e i critici di questo mondo siano d’accordo su una cosa: per imparare a scrivere meglio, bisogna continuare a esercitarsi, e farlo ogni giorno.

Ma scrivere di che cosa?!

Non è per forza detto che la risposta sia cosa scontata.

Dopotutto, alcuni autori sono dei naturali “collezionisti” di idee. Per accumulare ispirazione non serve diventare maestri di storytelling: basta continuare a nutrire la propria immaginazione in maniera costruttiva e incessante.

In che modo?

Bè, prima di tutto imparando a valorizzarla, e accogliendo con gioia tutte quelle piccole “rivelazioni” creative che, nel corso della giornata, tendono a incendiare la mente di una persona.

Ma forse hai appena deciso di riprendere a scrivere, o magari sei “reduce” dall’ultima stesura di una saga monumentale. Ti piacerebbe tantissimo lanciarti in un altro progetto, immergerti in una storia nuova di zecca, ricominciare a macinare parole come se non ci fosse un domani…

Eppure, bastano un paio di sedute infruttuose davanti alla tastiera per realizzare che la tua personale Fucina delle Idee, per qualsivoglia motivo, sembra essersi un po’… arrugginita. Come una lavagna bianca, o le pale di un mulino costruito a chilometri di distanza dal corso d’acqua più vicino.

Hai bisogno di una mano? Di qualche piccolo suggerimento operativo in grado di aiutarti a “riavviare” l’ispirazione bloccata?

Buone notizie: sto arrivando con la cassetta del pronto intervento, amico mio!

Un libro meraviglioso chiamato “Wonderbook”, scritto dall’immenso autore di speculative fiction Jeff Vandermeer


L’idea forte

«”L’ispirazione” viene spesso definita, in maniera inadeguata, come quella scintilla iniziale, o quelle scintille iniziali, che conducono a una storia.

In effetti, la parola descrive invece il processo continuo che avviene attraverso lo sviluppo di un particolare pezzo di fiction – una serie di rivelazioni in continuo aggiornamento, messe insieme dagli sforzi in tandem del tuo subconscio e dalla tua mente razionale.»

Jeff Vandermeer

Ma, prima di cominciare, vorrei soffermarmi un momento a considerare l’uso della parola “idea”.

Come forse saprai, in ambito cinematografico e televisivo, gli americani amano molto parlare di “high concept”.

Per sua stessa definizione, un high concept è un’idea «composta di determinati elementi narrativi strutturali che devono essere necessariamente presenti nella storia, al fine di poterla definire vendibile universalmente… cioè, a livello globale

In Italia, il termine viene spesso assimilato al concetto di “idea forte”.

Più avanti, torneremo sicuramente a dedicare parecchia attenzione a questo argomento. Ti fornirò, peraltro, una “formula” che ti permetterà di verificare la solidità della tua idea, una sorta di mini-guida che ti aiuterà, fra le altre cose, a scrivere la sinossi del tuo romanzo in maniera efficiente e accurata.

Per ora, cerca di tenere a mente questo: prima ancora di cominciare a lavorare sulla struttura del tuo romanzo (o del tuo racconto), avrai bisogno di formulare un’idea dotata di caratteristiche specifiche.

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“Lightyear”: 5 cose che uno scrittore può imparare guardando il film Disney/Pixar


lightyear - banner - pixar

Un bravo narratore sa che, dalla Pixar, c’è sempre qualcosa da imparare.

Ebbene sì: perfino quando il loro ultimo film si rivela un clamoroso flop commerciale!

Dopotutto, pochissime case di produzione cinematografiche sono state in grado di raggiungere, così velocemente, degli standard qualitativi generali così elevati.

Lightyear” è un film che ho trovato…interessante, almeno dal punto di vista della costruzione del protagonista e delle (intrepide) scelte narrative portate avanti dalla trama.

Una pellicola tutt’altro che perfetta, e sicuramente non all’altezza di capolavori come “Inside Out”, “Up” o “Soul”… ma per lo più brillante, anche se solo a tratti, e deliziosamente audace nella sua natura di “ibrido” cinematografico semi-sperimentale.

Ma quali preziose lezioni potrebbe imparare, uno scrittore, da una minuziosa analisi del plot e dei personaggi di “Lightyear”?

Andiamo a scoprirlo insieme! 😀


Spoiler alert!

1. Mai sottovalutare il potere del deuteragonista!

Sai che cos’è un deuteragonista?

La parola deriva dal greco: nel gergo teatrale, infatti, il termine stava a indicare “il secondo attore”.

Un deuteragonista è esattamente questo. Per citare TVTrope:

«Si tratta della seconda persona a cui ruota attorno uno show [o un romanzo, o un film…], un personaggio le cui azioni guidano la trama tanto quelle del protagoniste.»

Se ci fai caso, in “Toy Story”, Buzz non è l’eroe principale del film: quel ruolo spetta a Woody!

Ma se c’è una cosa che l’esistenza stessa del film “Lightyear” è in grado di dimostrare, è che un deuteragonista racchiude sempre in sé un potenziale narrativo tale da rivaleggiare con quello del protagonista.

E, in alcuni casi, addirittura quello di conquistarsi il diritto a una propria rocambolesca e toccante origin story!

Altri popolari esempi di deuteragonista che, all’occorrenza, si sono rivelati tranquillamente in grado di rubare la scena al protagonista?

  • Skye nella serie tv “Agents of S.H.I.E.L.D.”.
  • Willy Wonka nel film “La Fabbrica di Cioccolato”.
  • Sarah Lance nella prima stagione dello show “Legends of Tomorrow”.
  • Kelsier nel romanzo “Mistborn: L’Ultimo Impero”.

Cosa ci suggerisce tutto questo?

Se deciderai di inserire nel tuo romanzo un “secondo uomo” o “una seconda donna”, che si tratti di un aiutante, di un villain o di un love interest, dovrai stare molto attento a non sottovalutare il suo ruolo.

Se non fosse stato per Sheldon Cooper, credi davvero che la sitcom “The Big Bang Theory” sarebbe riuscita a diventare un fenomeno popolare? 😉

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Come (non) scrivere un personaggio femminile: 9 devastanti stereotipi che potrebbero distruggere il tuo lavoro


Come puoi creare un personaggio femminile accattivante, vivace e ricco di sfumature?

In un mondo ideale, la risposta sarebbe scontata: seguendo lo stesso, identico procedimento che useresti per creare un personaggio maschile accattivante, vivace e ricco di sfumature!

Vale a dire liberandoti da ogni preconcetto, buttando dalla finestra ogni idea stereotipata e provando a calarti nei panni di un’altra persona, a prescindere da quanto tu possa sentirla lontana o “diversa” da te.

Da un punto di vista pratico, ovviamente, questo si traduce nella necessità di assegnare al tuo personaggio femminile:

  • un oggetto del desiderio (che non sia il tuo protagonista maschile, per amor di Dio!) e un oggetto del bisogno (idem come sopra);
  • una complessa vita interiore e una “ferita” emotiva su cui far leva nel corso della narrazione;
  • un’identità e una serie di complesse relazioni con i personaggi che la circondano.

Tutto abbastanza ovvio, no?

Lo ribadisco: soltanto in teoria, a quanto pare!

Perché la verità è che ormai ho letto abbastanza manoscritti – e romanzi pubblicati – da sapere che quello dei personaggi femminili è ANCORA un tasto dolente per molti autori.

Nell’articolo di oggi, riassumerò i nove peggiori stereotipi a cui uno scrittore possa ricorrere durante il processo di ideazione di un personaggio femminile.

Non importa che si tratti della tua protagonista, della madre dell’eroe, del love interest o di una matrona di passaggio: se hai inserito un personaggio femminile all’interno del tuo romanzo, ricorda solo di tenerti il più lontano possibile dai fastidiosi cliché che sto per elencarti…


1. La “Sexy Lamp”

Lois Lane nel film “Man of Steel”

Questo termine è stato coniato per la prima volta da Kelly Sue DeConnick (fumettista americana nota soprattutto per la sua leggendaria run di “Captain Marvel”).

In occasione di un panel all’Emerald City Comic Con, la DeConnick ha avuto modo di esprimere il proprio disappunto nei confronti del trope del cosiddetto “Personaggio Femminile Forte”.

A suo avviso, infatti, molte opere che ne fanno uso si limitano a presentare una forza di facciata (una sorta di “copertura”), quando, di fatto, al suddetto personaggio femminile viene sottratta ogni effettiva capacità di agire e influenzare la trama per mezzo delle sue azioni.

Quando l’autore si limita, cioè, a usare la co-protagonista femminile alla stregua di un semplice accessorio di scena.

Secondo la DeConnick, infatti, perfino il famosissimo test di Bechdel è uno strumento troppo debole, incapace di determinare il reale livello di sessismo contenuto in una storia.

Il risvolto buffo? L’autrice propone di impiegare, al suo posto, il cosiddetto “test della Lampada Sexy”:

«Se puoi eliminare il tuo personaggio femminile e sostituirlo con una lampada sexy, vuol dire una cosa sola: SEI UN DANNATO SCRITTORUCOLO!»

Kelly Sue DeConnick

Parole forti, lo so, ma ancora… necessarie.

Per la serie: NON pensare che basti creare una bambolina da affiancare al tuo protagonista maschile, per soddisfare il concetto di rappresentanza femminile.

Non importa se la bambolina in questione può millantare fenomenali poteri cosmici, praticare dieci tipi di arti marziali diversi, o se racchiude in sé il potenziale per mettere al mondo il prossimo salvatore dell’universo.

Se non le permetti di FARE niente, se il suo ruolo non può dirsi indistricabilmente legato allo sviluppo del plot, se la sua presenza in scena serve soltanto a dimostrare quanto incredibilmente cool e attraente stia diventando il tuo eroe maschile…

Rimpiazzala direttamente con un accessorio da ufficio. Lampada, sedia o scrivania: non fa differenza.

Ma lascia fuori le donne da questa storia.

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Il conflitto in narrativa: la sottile arte di sfidare il protagonista, per stregare il lettore



«Il conflitto sta alla narrazione come il suono sta alla musica.»

 Robert McKee

In narrativa, il conflitto è uno degli strumenti più importanti in assoluto.

Assolutamente imprescindibile.

Senza conflitto, infatti, una storia non avrebbe alcuna possibilità di progredire.

In fondo, l’abbiamo già dimostrato un paio di settimane fa, quando abbiamo parlato dei 5 “step” necessari alla costruzione di una buona scena.

Soltanto gli autori più inesperti, ingenui e totalmente fuori controllo 😆 potrebbero prendere in considerazione l’idea di fare a meno di questo prezioso “ingrediente”.

Prova a rifletterci…

Rinunciare al conflitto narrativo?

Che assurdità!

Dimenticare che lo scontro fra forze antagoniste costituisce il motore a propulsione di qualsiasi storia, a prescindere dal suo genere di appartenenza, sarebbe la via più sicura per tediare (e confondere) mortalmente il tuo pubblico!

Perciò, se vorrai assicurarti che il tuo romanzo/racconto funzioni, questo sarà sicuramente uno dei primissimi passi che verrai chiamato a compiere: capire che cosa sottintenda, esattamente, il concetto di “conflitto” in narrativa, e in che modo potrai usarlo per generare complicazioni e complessità all’interno della tua trama…


Quanti “tipi” di conflitto esistono in narrativa?

In che modo Robert McKee propone di classificare i diversi tipi di conflitto che è possibile trovare all’interno di una storia?

E’ presto detto.

Di fatto, abbiamo:

  • Il Conflitto Interpersonale
  • Il Conflitto Interiore
  • Il Conflitto Extra-personale

Il Conflitto Interpersonale è quello che vede il protagonista opporsi alle azioni di qualsiasi altro personaggio.

Spesso (ma non necessariamente) ci si riferisce allo scontro con il villain o con uno dei suoi aiutanti. In generale, però, possiamo dire che il fulcro del conflitto interpersonale riguarda tutte quelle relazioni che si vengono a instaurare fra l’eroe della storia e il resto del cast, nel momento preciso in cui fra di loro si scatena un attrito.

Nelle storie di formazione, anche le figure genitoriali possono essere spesso fonte di grande tensione narrativa. Considera, ad esempio, il personaggio di Muneeba Khan nella recente miniserie Disney “Ms Marvel”, o il ruolo delle famiglie Fairmont e Burns nello show Netflix “First Kill“.


Il Conflitto Interiore è ciò che si scatena quando il protagonista è costretto ad affrontare i suoi demoni interiori.

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Come creare la scheda di un personaggio: guida, esempi e miti da sfatare


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«Come si scrive la scheda di un personaggio

«Da che parte si comincia a “inventare” il carattere di un protagonista?»

«Come faccio ad assicurarmi che ogni elemento della caratterizzazione del mio eroe sia coerente con gli altri?»

Ho notato che, nello sforzo di trovare un responso a questi ultimi due interrogativi, molti aspiranti autori tendono ad aggrapparsi alla necessità di compilare una “scheda del personaggio”. Quasi come se si trattasse di una fune alle quali sostenersi, per evitare di finire risucchiati dal flusso di creatività irresistibile che potrebbe trascinarli a valle…

Capisco questi autori. Credimi: li capisco davvero bene!

In fondo, come diceva Stephen King, scrivere un libro è un po’ come imbarcarsi per una traversata atlantica a bordo di una vasca da bagno. Tutto ciò che può aiutarci a sentirci più sicuri – e impedire alla nostra bagnarola di mostrare le prime falle – deve essere considerato cosa buona e giusta.

Ed ecco perché, oggi, ho deciso di fornirti una sorta di piccola “guida” alla creazione della scheda di un personaggio. Un documento che potrà veramente rivelarsi utile durante la prima stesura del tuo romanzo, e non soltanto la solita perdita di tempo.

Nello sforzo di semplificarti un po’ le cose, ti proporrò quindi una scheda-esempio relativa alla protagonista del magistrale film “Ultima Notte a Soho”, diretto da Edgar Wright


Caro Scrittore, ti presento il personaggio!

Ricordi? Abbiamo già stabilito che il protagonista di una storia, in modo particolare, deve essere in grado di influenzare la trama, il ritmo, le tematiche e le azioni del resto del cast.

Imbarcandosi in due “viaggi” diversi, ma complementari (quello esterno e quello interiore – la trama e l’arco del personaggio), l’eroe si sottopone quindi a un grandioso e avvincente percorso di trasformazione, fino a diventare la “miglior versione possibile” di se stesso.

Il discorso si applica, in scala ridotta, a qualsiasi personaggio del tuo libro. Ovviamente, più importante sarà il suo ruolo, e maggiore attenzione dovrai riservare alla cura del suo arco e della sua caratterizzazione.

Ma, affinché tu possa riuscire nella tua impresa, naturalmente dovrai assicurarti prima di tutto di CONOSCERE il tuo protagonista: intimamente e profondamente, dentro e fuori.

Non soltanto il suo aspetto fisico, quindi, o l’elenco dettagliato dei suoi pregi e dei suoi difetti (dolce, cinico, chiacchierone, ombroso, avaro, generoso eccetera).

Mi riferisco soprattutto al suo modo di pensare, di esprimersi e di parlare. Alla sua identità e ai suoi traumi del passato. Alle sue difficoltà di ogni giorno e alle sue complesse relazioni con il resto dei personaggi che definiscono il suo mondo.

In poche parole: a tutto ciò che permetterà al lettore di identificarsi con il personaggio e imparare ad amarlo.

Come possiamo riuscire a raggiungere questo livello di “intimità” con i nostri personaggi e, contemporaneamente, ad assicurarci che il nostro eroe (o villain, o mentore, o love interest…) sia DAVVERO l’uomo o la donna giusto/a per la nostra storia?

Ma, soprattutto… come possiamo riuscire a “organizzare” ogni informazione in nostro possesso attraverso una scheda del personaggio efficiente e pronta all’uso?

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Come scrivere l’incipit perfetto: dalla “domanda invisibile” alla scena d’apertura


come scrivere incipit romanzo

Se sei nato dopo il 1841, probabilmente sai già che un incipit in stile “I Promessi Sposi” non è la scelta ideale per un autore di romanzi che aspiri a procurarsi un editore e a coltivare un seguito di lettori nell’anno del Signore 2022.

La verità è che viviamo in un mondo frenetico, ricco di opportunità, mezzi di intrattenimento e distrazioni: Netflix, TikTok, Snapchat, WhatsApp, Spotify, il circolo locale del bingo, e chi più ne ha, più ne metta…

Se vuoi che il tuo lettore scelga di dedicare la sua sospiratissima serata libera al tuo libro, dovrai riuscire a confezionare l’incipit perfetto, in grado di catturare la sua attenzione e catapultarlo all’interno della tua storia fin dai primissimi paragrafi.

Altrimenti, quel lettore mollerà allegramente il tuo libro a pagina 4 e correrà a spararsi l’ennesima maratona di “Grey’s Anatomy”. Lo sai, che lo farà. Perché è quello che faresti anche tu, se ti trovassi alle prese con l’inizio di un romanzo che non riesce a risvegliare minimamente il tuo interesse.

Perciò, da che parte si inizia a raccontare una storia? Come si può riuscire a scrivere un incipit coinvolgente, accattivante e in grado di dimostrare al pubblico che il tuo romanzo vale tutto il tempo (e il denaro) speso per la lettura?

È arrivato il momento di scoprirlo insieme! 😀

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Come scrivere un protagonista indimenticabile: dalla “ferita emotiva” alla scoperta della propria verità

come scrivere un protagonista indimenticabile

L’arte di scrivere un personaggio è un processo che richiede attenzione, pazienza, capacità di ascoltare e spingersi oltre le apparenze.

Il discorso vale per la creazione di qualsiasi comprimario, a prescindere dal suo “allineamento” (buono o cattivo), ma diventa ancora più importante nel momento in cui parliamo della costruzione del protagonista del tuo romanzo: il personaggio che permetterà al lettore di entrare nel mondo della tua storia e sperimentare attraverso di lui/lei una valanga di emozioni!

Qualche settimana fa, mi sono imbattuta nel libro di Lewis JorstadWrite Your Hero”, una vera e propria “guida” alla genesi dell’ EROE/PERSONAGGIO PRINCIPALE.

Un manuale utilissimo, ricco di spunti di riflessione e suggerimenti operativi.

Nel post che seguirà, farò riferimento soprattutto (ma non esclusivamente) all’opera di Jorstad.

Per approfondire l’argomento, ti suggerisco ovviamente di procurarti il manuale in questione e divorarlo da cima a fondo! 🙂

Chi è il protagonista?

Il protagonista di un romanzo rappresenta prima di tutto una sorta di «finestra» affacciata sul mondo della tua storia.

Noi lettori arriviamo spesso a considerare l’eroe alla stregua di un vero e proprio «avatar»: per l’intera durata della lettura, infatti, avremo la possibilità di immergerci nella sua storia e sperimentare insieme a lui centinaia di avventure di ogni tipo, spesso lontanissime dalla nostra realtà di ogni giorno!

«Che si ritrovino ad affrontare battaglie epocali o a godersi vittorie schiaccianti, noi lettori abbiamo la possibilità di sperimentare la storia esclusivamente attraverso di loro [i protagonisti]. Quando hanno paura, il nostro cuore fa un balzo, e quando sono felici, non possiamo fare a meno di sorridere. A lettura finita, questi personaggi diventano reali, per noi, tanto qualsiasi altra persona all’interno delle nostre vite.»

Lewis Jorstad, “Write Your Hero”

L’eroe dovrà anche, naturalmente, rivelarsi in grado di influenzare tantissime componenti della narrazione. Ad esempio, la struttura della trama, il ritmo, i temi e il resto del cast

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Che cos’è un editor di romanzi? Superpoteri, miti e un paio di verità su questa misteriosa figura professionale

che cos'è un editor di romanzi

Che cos’è un editor?

Che cosa fa, che cosa non fa… ma, soprattutto, che cosa può fare per te?

Ancora oggi, quella dell’editor sembra essere una figura professionale ammantata da un certo alone di mistero.

C’è chi gli/le attribuisce un valore fondamentale, a volte perfino di stampo mistico/religioso.

«Un buon editor può fare la differenza fra un romanzo di successo e uno che non vedrà mai la luce del sole», sostengono costoro. «Un buon editor è la stella polare in grado di tracciare la rotta che permette a un autore di talento di sviluppare il suo potenziale e trasformarsi nell’astro brillante che è nato per diventare.»

All’altro capo dello spettro, invece, troviamo loro… Ebbene sì: i miscredenti, coloro che, all’alba dell’anno del Signore 2022, sono ancora convinti che l’arte di editare, pubblicare e sponsorizzare un libro possa essere considerata alla stregua di un lavoro da improvvisare, così, alla meno peggio.

Le stesse persone che, a quanto pare, continuano ad andare orgogliosamente fiere della loro incapacità di strutturare una trama, di gestire l’arco di un personaggio, di imparare le più basilari regole dello show, don’t tell

Loschi e inquietanti figuri pronti a sghignazzare e a torcersi i baffi, al pensiero di qualcuno, là fuori, realmente disposto a sottoporre il suo romanzo all’attenzione di questo o quell’altro book blogger di grido soltanto dopo essersi premurato di rimuovere ogni singola, infame “d” eufonica dal suo testo, o di averlo addirittura impaginato in un modo che non faccia venire voglia al lettore di cavarsi gli occhi.

Ma la verità è che, come per ogni leggenda che si rispetti, anche quella dell’editor tende ad accompagnarsi a una serie di frustranti e noiosissime dicerie da comari.

Perciò, prima di rispondere all’amletico interrogativo suggerito dal titolo del nostro post, suppongo che faremo meglio ad abbozzare un piccolo passo indietro, e a cercare di sfatare un paio di miti molto molesti.

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