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7 libri simili a “Gideon la Nona”


Libri simili a “Gideon la Nona”? Qualcuno ti dirà che non è possibile trovarne.

E… ascolta, non sarò io a discutere con loro! La serie di Tamsyn Muir è un inimitabile concentrato di arguzia, minuzie gotiche e riferimenti colti alla mitologia pop. Un esempio di storytelling anticonvenzionale, più unico che raro: prezioso, labirintico e spiraleggiante.

In che modo mitigare, allora, l’inevitabile astinenza scatenata dalla fine della lettura di “Nona la Nona“, il terzo capitolo della saga “The Locked Tomb“?

Bè, è proprio qui che entra in pista l’articolo di oggi: una lista di 7 libri altrettanto UNICI, a metà strada fra fantasy e sci-fi, che qualsiasi fanatico di Harrow, Gideon, Camilla e compagni dovrebbe assolutamente leggere!

Alcuni di questi titoli – come “The Unspoken Name” – sono stati consigliati dalla Muir in persona. Altri, li ho selezionati per la loro straordinaria capacità di mescolare atmosfere goth e tecnologia ultra-avanzata, gusto postmoderno e irresistibili sbavature in stile campy horror


“Empress of Forever” di Max Gladstone

empress of forever - libri simili a gideon la nona

Vivian Liao è un’innovatrice di successo, dello stesso calibro dei suoi rivali Steve Jobs ed Elon Musk.

Vivian è anche una pensatrice radicale, incline ai ragionamenti veloci e a una serie di reazioni spericolate. Alla vigilia del suo più grande successo, cerca di superare in astuzia quelli che stanno cercando di rubare il suo prestigio; ma non ha idea di ciò che sta per capitarle.

Nella fredda oscurità del deposito che contiene un potente server di Boston, Viv mette in atto il suo ultimo piano. Un terrificante attimo più tardi, viene catapultata attraverso lo spazio e il tempo, incontro a un futuro in cui è costretta a confrontarsi con un destino più strano – e letale – di qualsiasi cosa avesse mai immaginato.

Perché la fine del tempo è governata da un’antica, onnipotente Imperatrice che ha l’abitudine di spazzare via interi pianeti con un semplice pensiero. Considerare l’idea di una ribellione è letteralmente impossibile… almeno fino a quando non arriva Vivian.

Intrappolata fra il Pride – una feroce orda di macchine senzienti – e una fanatica setta di monaci guerrieri che si fa chiamare “Mirrorfaith”, Viv dovrà radunare attorno a sé uno strano gruppo di alleati per confrontarsi con l’Imperatrice e ritrovare la strada che porta al suo mondo… e alla vecchia vita che si è lasciata alle spalle.

(Disponibile su Amazon in lingua inglese).


Punti in comune con “Gideon/Harrow/Nona”: “The Empress of Forever” è una space opera dotata di elementi fantastici (in perfetto stile “Star Wars”…), incentrata sul concetto di “found family” e caratterizzata da una complessa relazione LGBT fra due personaggi femminili forti.

A completare il quadro? Un worldbuilding cervellotico e un intreccio che farebbe fumare le sinapsi a un luminare…

Per approfondire l’argomento, ti rimando alla mia recensione di “The Empress of Forever“.


“Middlegame” di Seanan McGuire

L’identikit di Roger: abile con le parole, in grado di apprendere velocemente qualsiasi lingua. Comprende istintivamente come funziona il mondo…  attraverso il potere delle storie.

L’identikit di Dodger, la sua gemella: i numeri sono il suo mondo, la sua ossessione, il suo tutto. Tutto ciò che comprende, deriva dal suo dono per la matematica.

Roger e Dodger non sono proprio umani. Loro non lo sanno, però.

Non sono nemmeno divinità. Non proprio. Non ancora.

Ed ecco l’identikit di Reed, specializzato nelle arti alchemiche, come i suoi antenati prima di lui. Reed ha creato Dodger e suo fratello. Non è il loro padre. Non proprio. Ma ha un piano: innalzare i gemelli verso i più grandi poteri, per ascendere con loro e reclamare la sua assoluta autorità.

Ottenere il “titolo” di divinità? Un obiettivo perfettamente raggiungibile.

Pregate che non sia raggiunto.

(Disponibile su Amazon in lingua italiana).


Cosa dire?

Se non bastano le ultime righe di questa sinossi a risvegliare un campanello in fondo alla tua mente (qualcuno ha detto “Harrow” e “Lyctorhood“, per caso?), aggiungi al mix un complesso apparato di suggestioni gotiche, una spiccata tendenza a centrifugare riferimenti pop provenienti dalle fonti più disperate, e una struttura narrativa DIABOLICAMENTE arzigogolata!

Ancora non ti basta?

Prova a dare un’occhiata alla mia recensione di “Middlegame“!


“The Unspoken Name” di A. K. Larkwood

the unspoken name - libri simili a gideon la nona

E se sapessi esattamente come e quando morirai?

Csorwe lo sa – un giorno, presto, si arrampicherà sulla montagna, entrerà nel Santuario del dio della morte e guadagnerà il titolo più ambito di tutti: sacrificio.

Eppure, il giorno della sua morte, un potente mago le offre un nuovo fato. Andarsene da lì, lavorare per lui e vivere. Voltare le spalle al suo destino e al suo dio e diventare una ladra, una spia e un’assassina – la leale spada del mago.

Rovesciare un impero, e aiutarlo a rivendicare il suo scranno del potere.

Ma, come Csorwe imparerà presto, gli dei hanno una memoria invidiabile.

Vivi abbastanza a lungo, e tutti i debiti verranno saldati.

(Disponibile su Amazon in lingua inglese).


“The Unspoken Name” e il suo sequel, “The Thousand Eyes“, sono assolutamente immancabili, all’interno di una lista di libri simili a “Gideon la Nona”!

A parte le numerose somiglianze a livello di ambientazione e la presenza di un’altra, shippabilissima coppia f/f, non possiamo esimerci dal tenere a mente il personaggio di Oranna, truce necromante della Casa del Silenzio ed eminente devota del dio della morte.

I personaggi in grado di tenere testa a Harrow, in termini di grama testardaggine, passione per l’occulto e cupissima abnegazione per la pratica della resurrezione, si potrebbero contare sulle scheletriche dita menomate della mano di uno zombie...

Dai retta a me: Oranna fa parte del club!


“Così si perde la guerra del tempo” di Amal El-Mohtar e Max Gladstone

In mezzo alle ceneri di un mondo morente, un’agente trova una lettera. C’è scritto: bruciala dopo averla letta.

Inizia così un’improbabile corrispondenza fra due agenti rivali. Ognuna di loro è determinata ad assicurare il miglior futuro possibile alla propria fazione. Ma, a poco a poco, quella che era iniziata come una provocazione inizia a trasformarsi in qualcosa di più. Qualcosa di epico. Qualcosa di romantico.

Qualcosa che potrebbe cambiare il passato e il futuro.

A parte il fatto che la scoperta di ciò che sta crescendo fra di loro potrebbe causare la fine di entrambe. C’è ancora una guerra in corso, dopotutto. E qualcuno deve pur vincerla. Perchè è così che funzionano le guerre.

Giusto?

(Disponibile su Amazon in lingua italiana).


Sebbene lo stile, squisitamente poetico, di “Così si perde la guerra del tempo”, possa sembrare agli antipodi rispetto alla tamarrosa espressività vocale di Tamsyn Muir, ritengo che i due titoli conservino parecchi aspetti (assai più significativi) in comune.

L’originalità della struttura e l’eccentrica vitalità delle due protagoniste rientrano sicuramente fra questi.

Ma lo stesso vale per quell’ammaliante forma di romanticismo disperato, anticonvenzionale e struggente, che determina i rapporti fra i vari personaggi.

Voglio dire, proviamo a considerare questa bellissima citazione tratta dal libro di El-Mohtar e Gladstone:

«I have built a you within me, or you have. I wonder what of me there is in you.»

Non sembra esattamente il genere di cosa che Harrow NON direbbe mai a Gideon (e viceversa), neanche se ne andasse della sua stessa vita?

La nostra necromante preferita coglierebbe il sentimento alla perfezione, però.

Lo coglierebbe eccome.


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“The Society for Soulless Girls”: la recensione del dark academia di Laura Steven


the society for soulless girls recensione - laura steven

Dedichiamo l’articolo di oggi alla recensione di “The Society for Soulless Girls”, di Laura Steven.

Un divertente dark academia in salsa YA, che si presta a incarnare – almeno in parte – un retelling de “Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e Mr Hyde” di Robert Louis Stevenson.

Con tanto di declinazione saffica e una sana, giustificatissima, irriverente dose di rabbia femminile


La trama

Dieci anni fa, quattro studentesse hanno perso la vita negli infami omicidi della Torre Nord, presso l’esclusivo collegio artistico Carvell.

Da quel giorno, la Carvell è stata costretta a chiudere i battenti.

Ma, dal momento niente è destinato a durare per sempre, adesso l’amministrazione ha deciso di riaprire le porte, e l’impavida studentessa Lottie è determinata a scoprire la verità che si nasconde dietro quegli atti criminosi.

Quando la sua compagna di stanza, Alice, si imbatte in un sinistro rituale in grado di dilaniare l’anima di una persona e di risvegliare i suoi istinti più bestiali, la Torre Nord reclama un’altra vittima.

Riuscirà Lottie a svelare i misteri della scuola, e a evitare che un passato così denso di ombre e di sangue possa ripetersi?

E Alice, potrà mai invertire il rituale, prima che il suo mostruoso alter ego la consumi completamente?

E sarà mai possibile, per tutte e due, smettere di flirtare impunemente per quindici secondi filati, e riuscire effettivamente a combinare una qualsiasi di queste cose?!



“The Society for Soulless Girls”: la recensione

Ho iniziato a leggere “The Society for Soulless Girls” senza grandi aspettative.

Non posso più negarlo: le parole “dark academia”, ormai, tendono a evocare nella mia mente soltanto immagini di polverose biblioteche dalle tonalità color seppia e di piagnucolosi ragazzini in toga segretamente innamorati del proprio migliore amico (grrr… azie, Rebecca Kuang!).

Dal momento che non ho ancora imparato a rinunciare a un libro gotico con componente f/f, ho deciso che avrei comunque concesso un’opportunità al romanzo della Steven.

Per appurare che il suo “The Society for Soulless Girls” non ha nulla a che spartire con questi elementi così temuti. E che i termini “polemico” e “lamentoso” non rientrano assolutamente nel novero degli aggettivi con cui potrebbe essere descritto.

Una felice scoperta, quindi, che ha avuto il potere di scaraventarmi fra le pagine di una storia grintosa, dark, ben strutturata e scritta con intelligenza.

Una narrazione ricca di verve e di macabro umorismo nero, quella della nostra Laura Steven. Corredata, fra l’altro, da una frizzante vena di nostalgia Anni Novanta e da un ritmo che tende a incagliarsi giusto un po’ in alcuni punti.

E se è vero – come è vero – che gli elementi ispirati al già citato classico della letteratura ottocentesca sono così sottili da rasentare quasi una pura eccentricità, l’originalità della storia riesce a livellare queste apparenti discrepanze con invidiabile disinvoltura.

E cos’è che tiene insieme così bene tutti questi tasselli del racconto?

Bè, sicuramente le tematiche.

Ribellione, lotta al patriarcato e repressione della rabbia si collocano in pole position. Anche perché, per citare l’autrice: «i tempi sembrano maturi, a questo punto, per parlare della dualità della natura umana anche dal punto di vista femminile

L’inquietante immaginario della Steven, dal canto suo, risulta squisitamente compatibile con questo obiettivo. E, già che ci sono, porrei l’accento anche sulla capacità dell’autrice di restare continuamente “sul pezzo”, senza scadere nella facile retorica o nella semplice banalità da pubblicità progresso tipica di altri autori.


Love your monster

Sull’altro piatto della bilancia, ci confrontiamo, invece, con due eroine gradevoli – ma tutt’altro che indimenticabili – e con un trope romantico (l’immortale “grumpyXsunshine”) che avrebbe potuto ambire a qualcosa di più.

Ho letto da qualche parte che, in occasione dell’imminente uscita USA di “The Society for the Soulless Girls”, Laura Steven sottoporrà il testo a un intenso giro di revisione. L’editing sarà finalizzato soprattutto al miglioramento dell’elemento romance e della qualità dei dialoghi (leggi: banter).

Un’ottima notizia, per quanto mi riguarda.

Per carità, Lottie e Alice sono due personaggi abbastanza “shippabili” così come sono…

Ma non c’è dubbio: l’aggiunto di scene e momenti “particolari” fra di loro potrebbe portare a dei grandi benefici, soprattutto dal punto di vista dello sviluppo dei rispettivi archi narrativi.


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“Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”: la recensione del libro di Grady Hendrix


gruppo sostegno ragazze sopravvissute recensione - grady hendrix

La mia recensione di “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”, romanzo horror di Grady Hendrix, si basa, in realtà, sull’edizione originale in lingua inglese dell’opera (“The Final Girl Support Group”).

Ero molto curiosa di leggere questo libro, essenzialmente per due motivi:

  1. nel 2016, Grady Hendrix aveva già firmato uno dei miei libri horror preferiti del secolo, alias l’irriverente e divertentissimo “L’Esorcismo della Mia Migliore Amica”);
  2. ho sempre pensato che le “final girls” fossero l’unica cosa buona e bella di ogni singolo slasher mai girato.

Complice l’altissimo livello di gradimento riscosso da “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute” presso i lettori americani, nutrivo delle aspettative piuttosto alte nei confronti di questo titolo.

Una fiducia che è stata ripagata, alla fine, da un secondo e da un terzo atto ricchi d’azione, personaggi surreali e momenti di genuina commozione.

Ma anche smentita, in parte, da una parata di capitoli iniziali (le prime cinquanta, sessanta pagine o giù di lì…) caotici e abbastanza dissonanti da spingermi a prendere in considerazione, per un momento, l’idea di mollare la lettura…


La trama

Lynnette Tarkington è una final girl in carne e ossa: l’unica sopravvissuta a un orribile massacro, avvenuto per mano di un pazzo mascherato da Babbo Natale quando Lynne era soltanto una liceale.

Per sedici anni, la nostra eroina ha continuato a incontrarsi con altre cinque final girls nello scantinato fatiscente di una Chiesa, per cercare il sostegno di una terapeuta specializzata nell’assistenza alle vittime di crimini violenti.

Un gruppo di supporto per donne e ragazze sfuggite all’impensabile, insomma, pronte a rimettere insieme i pezzi delle loro vite. O, quantomeno, a provarci.

Un brutto giorno, però, una delle ragazze del gruppo – Adrianne, la più attiva, la più generosa fra loro – salta un appuntamento, e la peggiore paura di Lynette inizia a manifestarsi: qualcuno è venuto a sapere dei loro incontri, e ha deciso di approfittarne.

Un altro mostro – l’ennesimo di una lunga serie – che si prepara a prendersi una rivincita sulle ultime donne ancora in piedi.

Ma la cosa più importante da sapere, quando si parla di final girls, le sopravvissute per eccellenza?

Non importa quanto le possibilità possano essere contro di loro. Non conta neanche quanto oscura sia la notte, o affilato il coltello: una final girl non si arrende.

Mai e poi mai.



“Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”: la recensione

Il romanzo di Grady Hendrix gode di un riconoscibilissimo e scoppiettante impianto cinematografico.

Infatti, come “Scream”, come la sottovalutata commedia “Final Girls” di Todd Strauss-Schulson, riesce a sfruttare appieno il concetto di “metacinema” e a trarre parte della propria forza dagli innumerevoli tropes tipici dei principali slasher in voga negli anni Settanta/Ottanta/Novanta.

La struttura del romanzo è infarcita di colpi di scena e dialoghi serratissimi. Una caratteristica che mi spinge a pensare che, dovesse mai un produttore hollywodiano decidere di investire sull’adattamento cinematografico di “Gruppo Sostegno Ragazze Sopravvissute”, probabilmente ci troveremmo alle prese con un film infinitamente superiore al mediocre “My Best Friend’s Exorcism” diretto da Damon Thomas.

Qualsiasi amante dei B-movie in salsa horror troverà divertenti i centomila richiami ai più grandi successi del filone “exploitation”: da “Halloween” a “Non Aprite Quella Porta”, passando per “Venerdì 13” e “Le Colline Hanno gli Occhi”.

Del resto, gli stessi titoli dei capitoli rappresentano una complice strizzata d’occhi – e, al tempo stesso, una consapevole fonte di sbeffeggiamento – nei confronti di questi film così estremi, violenti e infarciti di punti problematici.


La mitologia del mostro

Punti problematici con i quali Hendrix, per fortuna, non ha alcuna paura di confrontarsi.

Se c’è una cosa che mi piacerebbe farti capire, attraverso questa recensione di “Gruppo Sostegno per Ragazze Sopravvissute”, è che la trama narra la storia di Lynette e delle sue amiche; NON dei mostri infami, brutali e disturbati che hanno sfregiato le loro vite.

Una categoria di soggetti, quella degli assassini, fin troppo esaltata – diciamocelo – da altri media affamati di visualizzazioni.

Sfatando il mito dell’assassino carismatico, affascinante e/o dotato di una complessa vita interiore (un luogo comune che fa imbestialire, e che pure accumuna quasi tutti i thriller incentrati sull’attività di un serial killer, da “Il Silenzio degli Innocenti” a “Saw”…), Grady riesce quindi a ribaltare la prospettiva e a concentrare le sue energie sulla componente più vitale e psicologicamente interessante dell’equazione: le sopravvissute stesse.

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Premio Hugo: tutti i candidati dell’edizione 2023


I candidati al Premio Hugo del 2023 sono stati annunciati poche ore fa.

L’ottantunesima edizione della World Science Fiction Convention si terrà a Chengdu, in Cina, durante il mese di ottobre. In quell’occasione, i membri del comitato renderanno noti i nomi dei vincitori nelle rispettive categorie.

Ospiti d’onore saranno gli scrittori Cixin Liu, Sergey Lukianenko e Robert J. Sawyer.

Il Premio Hugo, per chi non lo sapesse, è il più antico e prestigioso riconoscimento a cui un autore di speculative fiction (fantasy, fantascienza o horror) possa aspirare.

Negli anni, la premiazione è stata al centro di parecchie controversie (vedi la recente petizione, organizzata da un gruppo di fan polacchi, per cercare di estromettere il russo Lukianenko dalla convention), senza mai arrivare a perdere il proprio prestigio.


Premio Hugo 2023: i sei candidati nella categoria “Miglior romanzo”

Premio Hugo 2023 candidati - miglior romanzo

  • The Daughter of Doctor Moreau” di Silvia Moreno-Garcia
  • The Kaiju Preservation Society” di John Scalzi
  • Legends & Lattes” di Travis Baldree
  • Nona the Ninth” di Tamsyn Muir
  • Nettle & Bone” di T. Kingfisher
  • The Spare ManMary Robinette Kowal

Chi vorrei che vincesse: “Nona la Nona” di Tamsyn Muir.

Chi credo che vincerà: “The Kaju Preservation Society” (disponibile in italiano per la Fanucci”) oppure “The Spare Man”. Non fosse altro che perché i lettori coinvolti nella votazione del Premio Hugo tendono a privilegiare SEMPRE la fantascienza, a discapito del fantasy…

Le mie opinioni

Per il momento, ho letto tre dei cinque candidati al Premio Hugo 2023, nella categoria miglior romanzo: le mie recensioni di “The Daughter of Doctor Moreau”, “Nona la Nona” e “Legends and Lattes” ti aspettano già fra le pagine blog, per cui ti basterà cliccare sul titolo in grassetto per farti un’idea delle rispettive trame e delle mie impressioni.

Si tratta – in breve – di tre titoli che ho amato moltissimo, malgrado le profonde differenze (tematiche, stilistiche e inerenti al proprio sottogenere di riferimento) che li contraddistinguono.

Non ho ancora letto “Nettle & Bone” (anche se ne possiedo già una copia). Eppure, al pari dei responsabili dell’assegnazione del Premio Hugo, confesso di nutrire una predilezione particolare nei confronti di T. Kingfisher: un’autrice brillante, ironica e straordinariamente grintosa, di cui ho recensito di recente il divertentissimo horror “A House With Good Bones”.

I fan di lunga data di Scalzi sembrano pronti a confermare che “The Kaju Preservation Society” potrebbe non essere esattamente il miglior romanzo che l’autore de “Le Brigate Fantasma” abbia mai scritto.

Come sai, sono una ghiotta lettrice di romanzi fantasy e horror… ma nei confronti della sci-fi, preferisco optare per un approccio abbastanza casual! Per cui, non avendo mai letto nulla di suo, mi asterrò dal dire la mia.

Di Mary Robinette Kowal, invece, devo ancora leggere “The Calculating Stars” (disponibile in italiano in edizione Mondadori). “The Spare Man”, comunque, promette grandi cose.

Voglio dire, un murder mistery ambientato nello spazio, con un pizzico di romance e una copertina che sembra uscita da un sogno a occhi aperti? Yeeeeees, please!


I sei candidati nella categoria “Miglior Romanzo Breve”

Premio Hugo 2023 candidati - miglior romanzo breve

  • Even Though I Knew the End” di C.L. Polk
  • Into the Riverlands” di Nghi Vo
  • A Mirror Mended” di by Alix E. Harrow
  • Ogres” di Adrian Tchaikovsky
  • What Moves the Dead” di T. Kingfisher
  • Where the Drowned Girls Go” di Seanan McGuire

Chi vorrei che vincesse: “Where the Drowned Girls Go” o “A Mirror Mended”

Chi credo che vincerà: “What Moves the Dead”

Le mie opinioni

Anche in questo caso, ho letto 3/6 dei titoli nominati.

L’anno scorso, la meravigliosa saga dei “Wayward Children” (in italiano, i “Bambini Irrequieti”) di Seanan McGuire si è aggiudicata un meritatissimo premio come miglior serie.

Più avanti, nel corso dell’estate, pubblicherà un articolo dettagliato su questo straordinario ciclo di storie, di cui “Where the Drowned Girls Go” costituisce il settimo volume. Posso già anticiparti che l’ottavo, “Lost in the Moment and Found”, rappresenta uno dei più struggenti e memorabili capitoli della saga.

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“A Lesson in Vengeance” in italiano: 3 ottimi motivi per leggere il libro di Victoria Lee (e 1 per non farlo)


a lesson in vengeance in italiano- victoria lee

La mia recensione di “A Lesson in Vengeance” è disponibile sul “Laumes’Journey” già da qualche tempo. Tuttavia, dal momento che la Mondadori ha appena annunciato la sua intenzione di pubblicare la traduzione italiana del thriller per ragazzi di Victoria Lee, ho pensato bene di tornare a spendere due parole sull’argomento.

Ami il dark academia? Ti piacciono le storie oscure e conturbanti, i personaggi moralmente ambigui e le love story appassionatamente, morbosamente tossiche?

Allora preparati a incontrare Felicity e Ellis, e a esplorare insieme a me tre ottime ragioni per leggere “A Lesson in Vengeance”! 😀


La trama

Dopo la tragica morte della sua ragazza, Felicity Morrow torna alla Dalloway School per finire il suo ultimo anno di scuola.

Le assegnano perfino la sua vecchia stanza alla Godwin House, l’esclusivo dormitorio che, stando alle voci del corpo studentesco, potrebbe essere infestato dagli spiriti di cinque ragazze che frequentavano la Dalloway.

Studentesse che, secondo alcuni, erano streghe.

La stregoneria, del resto, è incisa nel tessuto stesso del passato della Dalloway. La scuola non ne parla, ma le ragazze lo fanno. E, nelle stanze segrete e negli angoli bui, si radunano ancora per seguire il loro esempio.

Prima che la sua ragazza morisse, anche Felicity era attratta da quest’oscurità. Adesso, però, è determinata a lasciarsi alle spalle tutte queste brutte storie.

Certo, più facile a dirsi che a farsi, quando la storia occulta della Dalloway sembra annidarsi dappertutto. E quando la nuova arrivata non intende permetterle di dimenticare.

È il primo anno di Ellis Haley alla Dalloway. Romanziera di successo a soli diciassette anni, Ellis è eccentrica, carismatica e brillante, e Felicity non riesce a liberarsi dall’ineluttabile senso di attrazione che continua a spingerla verso di lei. Così, quando Ellis le chiede di aiutarla a fare ricerche sul passato della Dalloway per il suo secondo libro, Felicity non riesce a dirle di no.

Non appena la storia inizierà a ripetere se stessa, Felicity dovrà confrontarsi, una volta ancora, con l’oscurità che si annida nella scuola… e dentro di lei.


3 eccellenti motivi per leggere “A Lesson in Vengeance” di Victoria Lee (e 1 per non farlo)

  • L’incredibile complessità morale delle protagoniste

La componente psicologica è uno degli elementi più notevoli e accattivanti di “A Lesson in Vengeance”.

Sia messo agli atti: né Felicity, né Ellis, a parer mio, tendono a qualificarsi esattamente come dei mostri di simpatia.

Ma Victoria Lee costruisce le loro personalità con un’invidiabile livello di abilità, dando vita a due poli magnetici in grado di esercitare un fortissimo ascendente sull’immaginazione del lettore. La loro immediata connessione, basata su un complesso meccanismo di attrazione-repulsione, risulta viscerale e credibilissima.

Una voragine che è quasi un buco nero; una ferita grigio-scura, in grado di incoraggiare chi legge a formulare ipotesi bizzarre e porsi domande angoscianti.

Insomma, la sinossi dell’edizione originale del libro parla di “romance pericoloso”, e… per una volta, ammettiamolo, non si tratta affatto di un’esagerazione!


  • L’innegabile fascino dell’atmosfera

A metà strada fra gotico e thriller, “A Lesson in Vengeance” potrebbe essere la lettura perfetta per chiunque abbia amato il film “The Pale Blue Eyes: I Delitti di West Point”.

L’intreccio, seppur imbrigliato da un paio di scelte narrative che reputo eccessivamente “scolastiche”, si dimostra abbastanza solido nelle sue parti.

Ma è l’atmosfera l’elemento del romanzo che convince di più: la capacità di Victoria Lee di sfruttare tutte le potenzialità insiste nell’estetica del dark academia a proprio vantaggio, costringendo ripetutamente il lettore a confrontarsi con gli inquietanti sussurri e giochi d’ombra che si rincorrono nei corridoi della sua cupa ambientazione.

Fra un dotto riferimento a un grande classico della letteratura dell’Ottocento e un’ambigua apparizione, insomma, la tensione cresce a dismisura, evocando ombre e sospetti imprevedibili nella mente delle ragazze… e del pubblico.


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“Witch King”: la recensione del libro fantasy di Martha Wells


witch king recensione - martha wells - libro fantasy

Sospetto che la recensione di “Witch King”, libro fantasy di Martha Wells, assumerà dei toni un po’ dolceamari.

Nel senso che, per quanto io abbia amato alcuni aspetti della narrazione – personaggi, worldbuilding e sistema magico sopra ogni cosa – ammetto di aver trovato la lettura abbastanza faticosa.

Una struttura inutilmente arzigogolata e un cast di comprimari che si estende da qui a Capo di Buona Speranza contribuiscono ad accrescere il senso di smarrimento del lettore, compromettendo la sua capacità di gustarsi la storia e frustrando – ahimè – i suoi tentativi di stringere una connessione più profonda con il protagonista e i suoi alleati…


La trama

Dopo essere stato assassinato – la sua coscienza dormiente e del tutto inconsapevole dello scorrere del tempo mentre giace all’interno di un’elaborata trappola acquatica – il demone Kai si sveglia e poggia gli occhi su un mago minore.

Uno che sta tentando di imbrigliare la magia di Kai a proprio vantaggio. Un tentativo  che non è destinato a finire bene.

Ma perché Kai è stato imprigionato, in primo luogo? Cosa è cambiato nel mondo, dal giorno del suo omicidio? E perché, durante la sua assenza, la Coalizione del Mondo Nascente sembra aver acquistato un’influenza così spropositata?

Per scoprire le risposte ad almeno alcune di queste domande, Kai dovrà radunare attorno a sé i suoi alleati e sguinzagliare tutta la magia a sua disposizione.

A dire la verità?

Le risposte che troverà, rischieranno di non piacergli affatto…


“Witch King”: la recensione

“Witch King” segna il ritorno al fantasy di Martha Wells, un’autrice che si è affermata presso il pubblico internazionale grazie alla pubblicazione della fortunata saga sci-fi “Murderbot: I diari della macchina assassina”.

Cosa dire? Dopo aver letto il suo nuovo libro, non posso (né sentirei il desiderio di) mettere in discussione la straordinaria vena creativa della Wells. O la sua capacità di plasmare mondi unici e incredibilmente affascinanti, misteriosi e originali.

Ciò premesso…

Può darsi (il condizionale è d’obbligo, dal momento che non ho mai letto “Murderbot”…) che questa notevole autrice americana sia più portata per il versante fantascientifico della speculative fiction.

Questo spiegherebbe, a mio avviso, le numerose difficoltà riscontrate durante la lettura di “Witch King”.

Che i lettori hardcore di sci-fi vantino un livello di tolleranza naturalmente più alto nei confronti di cose come esposizione, descrizioni statiche e infodump, del resto, è un fatto conclamato.

Ma io? Per tutta la parte centrale del libro, ammetto di aver fatto seriamente fatica a concentrarmi.

Affermo questo, nella piena consapevolezza degli svariati livelli di grandiosità che il nuovo lavoro della Wells riesce a raggiungere in altri campi.

Dal punto di vista della profondità del worldbuiling o del sistema magico, ad esempio “Witch King” potrebbe (quasi) essere in grado di rivaleggiare con la brillante vena creativa di Tamsyn Muir nei suoi “Gideon”, “Harrow” e “Nona la Nona”.

Mentre il protagonista del romanzo, il demone/stregone Kai, risulta abbastanza affascinante e complesso da riportare alla mente alcune fra le creature più vivaci e magnetiche nate dalla penna N. K. Jemisin.

E chi mi conosce bene, lo sa perfettamente…

Non mi permetterai mai di tirare in ballo il nome di Nora K. invano…!


Un paradosso bizzarro

Facciamo il punto della situazione, e proseguiamo la nostra recensione di “Witch King” fornendo una piccola precisazione.

Ho parlato, prima, di una struttura “inutilmente arzigogolata”.

Che cosa intendevo dire?

Bè, innanzitutto, devi sapere che il libro segue due diverse linee temporali: prima e adesso. Il filone narrativo ambientato nel passato serve a giustificare le azioni compiute da Kai e dai suoi compagni nel presente. E, ovviamente, anche a fornire un po’ di agognato contesto.

Alla faccia dei suoi quattordicimila spiegoni, infatti, la Wells è un’autrice che ama evidentemente stimolare le capacità deduttive dei suoi lettori. L’inizio del viaggio è sicuramente caotico, una commistione di elementi fantastici e/o altamente caratterizzanti dovuta al fatto che, tanto per rendere l’intreccio un po’ più convoluto, ovviamente la narrazione comincia in medias res, dando una miriade di cose per scontate.

Un bel paradosso, eh?

Sì, perché, in realtà, potresti ritrovarti tranquillamente a leggere quattro paragrafi pieni zeppi di informazioni sui capi di vestiario tipici del popolo di X della terra di Y, senza per questo avere la più pallida idea di chi diavolo siano gli X, cosa stiano facendo o cosa accidenti c’entrino nella nostra storia.

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“All the Dead Lie Down”: la recensione del libro gotico di Kyrie McCauley


all the dead lie down recensione - kyrie mccauley

Riprendiamo le trasmissioni con la recensione di “All the Dead Lie Down”, avvincente libro gotico per ragazzi di Kyrie McCauley.

Una storia d’amore, morte, traumi e redenzione che ricorda tantissimo la straordinaria miniserie di Mike Flanagan “The Haunting of Bly Manor”.

Un romanzo in grado di giocare con tutti i trope del genere e di regalare al lettore una lunga serie di sospiri, brividi e palpitazioni, basato su una solidissima atmosfera e su un ottimo cast di personaggi al femminile.


La trama

Da qualche giorno, Marin Blythe è rimasta completamente sola. Dopo che un terribile incidente ferroviario le ha strappato l’unico genitore, infatti, la ragazza non dispone più di connessioni o mezzi di sostentamento, e non sa più che pesci pigliare.

Almeno fino a quando non riceve un invito a sorpresa da Alice Lovelace – un’acclamata scrittrice di libri horror, nonché vecchia amica d’infanzia di sua madre. Alice offre a Marin una posizione da tata presso Lovelace House, l’antica magione della sua famiglia, situata sulle affascinanti e isolate coste del Maine.

Marin non riesce a credere alla sua fortuna. Dopo aver accettato, si ritrova quindi a badare alle peculiari figliolette di Alice: Thea, una bambina che ha il bizzarro hobby di seppellire le proprie bambole, e Wren, che sembra determinata a fare tutto ciò che è in suo potere per mandare via Marin.

E poi Evie Hallowell, la figlia più grande di Alice, viene espulsa dalla sua accademia e torna a casa a sua volta. Evie è tanto strana quanto le sue sorelle; anzi, forse addirittura di più. Eppure, la sua eterea bellezza e il suo comportamento magnetico attraggono Marin come una calamita.

Tuttavia, mentre Marin inizia ad ambientarsi, l’ansia che da sempre la tormenta inizia a impennarsi in un picco vertiginoso. Perché una serie di uccellini morti prende a comparire sul davanzale della sua finestra. Gli scherzi delle bambine, prima così innocenti, iniziano a prendere una piega sinistra.

E qualcosa di pericoloso si aggira nei boschi, lasciandosi alle spalle una scia di animali mutilati.

Non va tutto bene, a Lovelace House: presto, Marin dovrà svelare i segreti della casa, o rischiare di finire completamente consumata dal suo oscuro passato.



“All the Dead Lie Down”: la recensione

Il mio riferimento all’adattamento televisivo de “Il Giro di Vite” di Henry James non è stato casuale.

In effetti, l’affinità fra i due titoli non si limita neanche agli aspetti più evidenti.

Certo, l’odissea di Marin assomiglia moltissimo a quella di Dani Clayton, l’intrepida e tormentata eroina del popolare show targato Netflix. Inoltre, anche in “All the Dead Lie Down” possiamo trovare una coppia di bambini/e che continua a danzare sulla sottile linea di confine che separa “l’adorabilmente eccentrico” dal “maledettamente inquietante”.

E l’appassionata storia d’amore saffica al centro dell’intreccio del romanzo di Kyrie McCauley echeggia sicuramente quella (indimenticabile) fra Dani e Jamie nella suddetta miniserie.

Ma credo che il legame fra i due titoli, in realtà, si estenda in maniera anche più profonda di così.

Tanto per cominciare, anche “All the Die Lie Down” rappresenta un lungo, lunghissimo slow burn, una malinconica e struggente riflessione sui temi dell’elaborazione del lutto e della perdita.

La componente sentimentale, dal canto suo, svolge un ruolo di primo piano ed è portata avanti in maniera convincente e ricca di pathos: vale a dire, rispettando in pieno le convenzioni del proprio genere di riferimento.

Tuttavia, neanche la bellissima love story ha il potere di mettere in ombra la tempestosa e cupa atmosfera, o la complessa caratterizzazione psicologica dei personaggi.

Crimson Peak” incontra “Pet Cemetery”, con un pizzico de “La Notte dei Morti Viventi” e “La Figlia di Rappaccini“.

Il tutto, chiaramente, rielaborato secondo il gusto YA e filtrato da uno stile estremamente scorrevole e alla portata di chiunque.


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10 libri fantasy ispirati alla mitologia cinese da leggere in italiano


La recente esplosione di libri fantasy ispirati alla mitologia cinese non ha ancora esaurito il suo corso, e questa è una gran bella cosa.

Intanto, però, possiamo già fare il punto della situazione, elencando i 10 titoli disponibili in italiano che, finora, sembrano aver maggiormente colpito l’attenzione dei fan.

Come potrai notare, nella maggior parte dei casi si tratta di letture destinate al pubblico dei lettori più giovani. Ma ci sono vistose eccezioni a questa regola: pensiamo, ad esempio, a “La Leggenda del Cacciatore di Aquile” di Jin Yong o all’amatissima trilogia della “Guerra del Papavero” di R. F. Kuang.

Ovviamente, in inglese troverai disponibili tantissimi altri libri fantasy ispirati alla cultura e al folclore cinesi. Fra le uscite più recenti, ricordiamo il bestseller annunciato “Shangai Immortal” di A. Y. Chao e “Song of Silver, Flame Like Night” di Amelie Wen Zhao.


10 libri fantasy ispirati alla mitologia cinese

  • La Figlia della Dea della Luna” di Sue Lynn Tan
libri fantasy ispirati alla mitologia cinese - la figlia della dea della luna

Di questo particolare libro fantasy ispirato alla mitologia cinese abbiamo parlato qualche giorno fa, in occasione della sua uscita italiana.

La storia è quella di Xingyin, cresciuta sulla Luna da una madre disposta a tutto, pur di tenere la ragazza lontana dalle grinfie dell’Imperatore Celeste.

Ma quando la magia di Xingyn comincia a manifestarsi, la nostra eroina deve fuggire e lasciarsi alle spalle la vita che conosceva.

Il suo viaggio la porterà ai cancelli del Regno Celeste, un luogo di meraviglie e di terrori. Sotto copertura, Xingyn comincia quindi ad addestrarsi al fianco del figlio dell’Imperatore, imparando a padroneggiare stregoneria e arti di guerra.

A questo punto, l’attrazione fatale fra lei e il principe comincia a crescere. Ma Xingyn ha giurato di vendicare sua madre; un’odissea che la porterà a confrontarsi con antiche creature leggendarie e con nemici più insidiosi del previsto…

Puoi acquistare la tua copia de “La Figlia della Dea della Luna” su Amazon. L’edizione italiana è targata Mondadori.


  • Spin the Dawn: Il Sangue delle Stelle” di Elizabeth Lim
libri fantasy ispirati alla mitologia cinese - spin the dawn

Maia Tamarin sogna di diventare la più grande sarta della storia. Ma è una ragazza: perciò, il massimo a cui possa aspirare è di riuscire a contrarre un matrimonio vantaggioso.

Quando un messaggero reale convoca suo padre, un sarto gravemente malato, per riprendere il proprio incarico a corte, Maia compie l’estremo sacrificio e decide di prendere il suo posto, travestendosi da ragazzo. Sa che la sua vita finirà, letteralmente, nel momento in cui il suo segreto verrà allo scoperto. Ma decide di assumersi il rischio comunque, nella speranza di coronare il suo sogno e salvare la famiglia dalla rovina.

C’è solo un inghippo: Maia è soltanto una di dodici aspiranti sarti, invischiati in una pericolosa competizione per l’incarico. E pare proprio che la tendenza al tradimento e all’accoltellamento nella schiena siano di casa, presso la corte reale…

A metà strada fra “Project Runaways” e un retelling di “Mulan”, “Spin the Dawn: Il Sangue delle Stelle” è disponibile su Amazon in edizione Mondadori.


  • La Stirpe della Gru” di Joan He

Un classico fantasy di corte, adatto a chiunque abbia amato libri sul tema “educazione di una regina in salsa fantastica”, tipo “The Queen of the Tearling” o “A Queen in Hiding”.

La principessa Hesina, del piccolo regno di Yan, non ha mai nutrito alcun interesse nei confronti della corona. Anzi, è sempre stata piuttosto ansiosa di evitare qualsiasi responsabilità connessa con il potere.

Ma quando suo padre viene assassinato, le tocca occupare quel trono mai voluto, e farlo in un momento di massima tensione sociale e politica.

Come se non bastasse, Hesina vive nel terrore che il suo segreto possa venire allo scoperto: se si venisse a sapere che le è capitato di richiedere l’aiuto di una veggente, l’oppressiva scure della giustizia ricadrebbe sulle sue spalle in un lampo.

Perché, a Yen, l’uso della magia divinatoria è proibito, e considerato alla stregua di un alto tradimento.

E neppure una regina può considerarsi al di sopra delle leggi…

“La Stirpe della Gru”, edito da Mondadori, è disponibile su Amazon.


  • La Leggenda del Cacciatore di Aquile” di Jin Yong

Ambientato nell’antica Cina – in un mondo in cui il kung fu è magia, i regni lottano per il potere e la battaglia per diventare il signore del kung fu definitivo è in pieno svolgimento – nasce un improbabile eroe

Dopo l’assassinio di suo padre, Guo Jing e sua madre cercano rifugio presso la prateria di Gengis Khan e della sua gente. Sono in pericolo costante. Perché, un giorno, il destino vuole che il giovane affronti il suo mortale nemico in battaglia. Fino ad allora, Guo resterà sotto la tutela di Gengis Khan e dei Sette Eroi del Sud, imparando a padroneggiare le arti marziali.

Umile, leale, e tutt’altro che assennato, Gao dovrà imparare a barcamenarsi fra guerra e amore, onore e tradimento, prima di fronteggiare il suo destino e diventare l’eroe che, forse, è sempre stato destinato a essere.

“La Leggenda del Cacciatore di Aquile” è disponibile in italiano, in una bellissima edizione Mondadori. Puoi acquistarlo su Amazon.


  • Lei Che Divenne il Sole” di Shelly Parker-Chan
libri fantasy ispirati alla mitologia cinese - li che divenne il sole

Un libro denso di simbolismo, caratterizzato da un immaginario potente e scandito da una serie di tematiche molto intriganti.

Nel 1345, la Cina deve sottostare allo spietato dominio mongolo. Per i contadini affamati delle Pianure Centrali, onore e gloria sono soltanto parole vuote; qualcosa che è possibile trovare soltanto all’interno di fiabe e leggende.

Perciò, non appena all’ottavo nato della famiglia Zhu viene predetto un futuro pieno di grandezza e splendore, restano tutti a bocca aperta: e come diamine potrebbe mai avverarsi, una profezia del genere?!

Il In qualche modo, invece, nessuno trova difficile credere neI fato pieno d’oscurità e anonimato promesso alla capace e brillante seconda figlia degli Zhu.

Eppure, per un capriccio del destino, toccherà proprio alla ragazza reclamare quel ruolo di primo piano all’interno delle grandi faccende dell’Impero. Per adempiere alla profezia, sarà costretta a impersonare il ruolo del fratello e a trasformarsi in una figura leggendaria, spregiudicata quanto temeraria.

Puoi acquistare la tua copia dell’edizione Mondadori de “Lei Che Divenne il Sole” su Amazon.

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“Nella Vita dei Burattini”: la recensione del libro di T.J. Klune


nella vita dei burattini recensione - t j klune libro

La mia recensione di “Nella Vita dei Burattini” si basa sull’edizione originale del romanzo di T. J. Klune, “In The Life of Puppets”.

Non avevo mai letto nulla dell’autore de “La Casa sul Mare Celeste”. Eppure, la miriade di commenti positivi disponibile in rete mi ha sempre fatto ben sperare.

Unisci a tutto questo la mia innegabile passione per i retelling – “Nella Vita dei Burattini” è una rivisitazione in chiave futuristica del “Pinocchio” di Carlo Collodi – e sicuramente capirai perché stavolta non avevo nessuna speranza di resistere…


La trama

In uno strano, piccolo complesso di edifici arroccato sulla cima di un gruppo di alberi, vivono tre creature meccaniche e un giovane umano.

Il capofamiglia è l’androide inventore Giovanni Lawson; gli altri robot sono l’Infermiera Ratchet, una macchina piacevolmente sadica che ama dispensare punture e minacce di ogni genere ai suoi pazienti, e un piccolo aspirapolvere senziente di nome Rambo, perennemente affamato di amore e attenzione.

E poi c’è Victor, un ragazzo che ha ereditato il talento del padre per ogni genere di cosa meccanica e che condivide in pieno il suo amore per la tecnologia e le nuove scoperte.

Insieme, i quattro compongono una bizzarra, isolata, felicissima famigliola.

Il giorno in cui Viv salva e ripara un nuovo androide – l’unica designazione leggibile sulla sua etichetta riporta semplicemente le lettere “HAP” – segna ufficialmente la fine dell’idillio e l’inizio di un nuovo cammino per Victor e i suoi amici.

Perché nel passato di Giovani si nascondono segreti violenti, oscuri ricordi rievocati dalla mera presenza di Hap.

E poi Victor e Hap, senza volerlo, segnalano la posizione del rifugio di Gio all’Autorità che governa la mente di tutte le creature meccaniche. L’inventore viene catturato e riportato nel suo vecchio laboratorio, nel cuore della labirintica Città dei Sogni Elettrici.

Per salvarlo, Vic e il resto della banda dovranno imbarcarsi in un lungo e pericoloso viaggio attraverso una terra che sta cercando disperatamente di lasciarsi alle spalle il significato della parola “umanità”.



“Nella Vita dei Burattini”: la recensione

Nel lontano 2011, mi è capitato di leggere “Alla ricerca di Wondla” di Tony DiTerlizzi (illustratore de “Le Cronache di Spiderwick” di Holly Black).

Dalla lettura di “Nella Vita dei Burattini”, ho ricavato più o meno le stesse sensazioni: l’impressione di trovarmi alle prese con un romanzo dal taglio molto giovanilistico, piacevole e “puccioso”, determinato a mescolare elementi ispirati a “Star Wars” ad altri tipi di suggestioni, tratte da un grande classico della letteratura per l’infanzia.

Nel caso di Wondla, si trattava de “Il Mago di Oz”. Per Klune, il modello di riferimento è, evidentemente, “Pinocchio”. Ma poco cambia, in sostanza…

Sotto altri aspetti, il nuovo retelling di Klune assomiglia un po’ a una trasposizione letteraria di un film della Pixar di fascia media (metti un “Cars” o un “Lightyear”).

Tanto per cominciare, infatti, i personaggi sono un’autentica delizia – soprattutto l’inimitabile Infermiera e il vivacissimo Rambo– e i dialoghi garantiscono una perenne fonte di spasso.

Più in generale, possiamo dire che TUTTE le interazioni fra i membri della famiglia Lawson scaldano il cuore del lettore, scatenando, fin dalle prime pagine, un feroce senso d’attaccamento nei confronti dei protagonisti della storia.

Inoltre, l’estrema (e deliberata) “semplicità” dello stile si sposa bene con il ritmo vivace e spedito della narrazione. Perfino nei momenti più cupi, infatti, è come se dalla scrittura di Klune emanasse un costante senso di leggerezza e di gioia.

Con questo romanzo, Klune dimostra di saper padroneggia (e alla grande!) qualsiasi tecnica narrativa gli balzi in testa di usare. Una capacità che gli permette di intessere una storia briosa, divertente e ricca di verve… nonché di rafforzare la più grande illusione di chi legge: quella di trovarsi al cospetto di una storia dal taglio unico, irripetibile e originale.

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“A House with Good Bones”: la recensione del libro gotico di T. Kingfisher


a house with good bones recensione - t kingfisher

La recensione di “A House with Good Bones” arriva sul blog in notturna: un’anomalia, dovuta al fatto che il destino ci ha messo lo zampino, mandando completamente a monte tutti i miei programmi per la giornata.

Ma non vedevo l’ora di raccontarti qualcosa a proposito del nuovo libro horror di T. Kingfisher!

Un’autrice che ho conosciuto grazie al delizioso retelling fiabesco “The Raven and the Reindeer, e imparato ad amare attraverso il brividoso e divertentissimo survival “The Hollow Places”.

“A House with Good Bones”, southern gothic dalla personalità spiccatissima, contiene tutti gli elementi che abbiamo imparato ad associare a questo genere: una casa (probabilmente) infestata, un’atmosfera inquietante e misteriosa, una sfilza di rapporti famigliari complicati e una protagonista dalla voce assolutamente indimenticabile…

Certo: l’intreccio risulta penalizzato da una serie di twist a dir poco prevedibili. Per non parlare di una risoluzione frettolosa che, nel terzo atto, tende a mettere alla prova la sospensione dell’incredulità del lettore con una certa insistenza.

Ma l’inconfondibile piglio ironico della Kingfisher, combinato all’irresistibile sense of humor e alla lucida vena dissacrante della sua protagonista, rendono la lettura di questo romanzo un’esperienza unica, spassosa ed elettrizzante.

Minacciando di scatenare (in maniera del tutto deliberata) un’esplosione di ilarità incontrollata, perfino nei momenti di massima tensione…


La trama

«La mamma sembra un po’ strana

Da quando suo fratello ha pronunciato queste parole, Sam Montgomery non riesce a scacciare una certa preoccupazione.

Le sente ancora echeggiare nella mente, mentre imbocca la tranquilla stradina della Carolina del Nord in cui vive sua madre, sola.

Sam cerca di allontanare il pensiero con tutte le sue forze. Il suo scavo archeologico è appena stato annullato, per cui le toccherà trascorrere qualche mese nella sua vecchia casa d’infanzia. E, in realtà, l’idea di una visita prolungata non le dispiace del tutto, soprattutto considerando lo splendido rapporto che lei e la mamma hanno sempre condiviso.

Sam è felicissima di poter trascorrere del tempo con lei. Solo loro due, intente a bere vino direttamente dal cartone, guardare uno dei loro adorati murder mistery britannici alla tv, cercando di indovinare l’identità del killer prima del solito detective di turno.

Eppure, non appena mette piede in casa, Sam si accorge che la sua vecchia dimora non è più il porto sicuro di un tempo. L’accogliente charm per cui sua madre è sempre stata famosa sembra svanito nel nulla; adesso, le mura sono dipinte di uno sterile e freddo bianco.

La mamma salta in aria al minimo rumore e si guarda costantemente alle spalle, anche quando è lei l’unica altra persona presente nella stanza. E quando Sam esce in giardino per schiarirsi le idee, si imbatte in una giara piena di denti nascosti sotto un cespuglio di rose, una pianta degna delle pagine di una rivista patinata.

Per non parlare dello stormo di avvoltoi che continua a sorvolare il loro cortile dall’alto…

Che cosa sta succedendo alla mamma? Perché è così spaventata? Per scoprirlo, Sam dovrà scavare, alla ricerca della verità.

Ma, forse, sarebbe meglio lasciare sepolti certi segreti



“A House with Good Bones”: la recensione

T. Kingfisher tende a scrivere quel tipo di horror alla portata di tutti, che nessun estimatore del genere sano di mente prenderebbe mai in considerazione di lasciarsi sfuggire.

Suona un po’ paradossale, detta così, non è vero?

Eppure, ti giuro che è proprio così!

Nel suo “A House with Good Bones”, seguiamo il punto di vista – scientifico e iper-razionale – di Sam, una paleoentomologa appassionata di insetti e di archeologia. Una donna con la testa sulle spalle e dalla battuta sempre pronta, liberale e piena di vita, che gode di un ottimo rapporto con sua madre, una signora del Sud dall’intelletto vivace e la spiccata indole ribelle.

In realtà, credo di non essermi mai imbattuta in un horror famigliare incentrato su una relazione madre-figlia così positiva. Devo dire che si è trattato di una piacevole novità. Anche perché la mamma di Sam, Edie, è davvero un personaggio fantastico, adorabile in ogni sua sfumatura.

Ed è proprio il gramo senso di minaccia che sembra aleggiare su di lei ad irretirci nella lettura, in un primo momento, coinvolgendoci nei dubbi di Sam e costringendoci a porci ripetutamente la fatidica domanda: e se la povera Edie stesse impazzendo?

Perché, d’un tratto, questa mamma così schiva e amorevole sembra sempre così sulle spine? Per quale motivo finge di non ricordare dettagli importanti dell’infanzia di Sam e di suo fratello?

Sarà la demenza? Un semplice attacco di senilità precoce? O… qualcos’altro?

Qualcosa di molto più sinistro, che l’implacabile mente analitica di Sam – da sempre aversa a qualsiasi tipo di superstizione – fa infinitamente fatica ad accettare.

Perché, tendenza al gaslighting a parte, di punto in bianco Edie ha preso l’abitudine di uscirsene con una serie di atteggiamenti che sembrano suggerire un’inquietante somiglianza con il modus operandi della propria madre – una vegliarda bigotta e severa, defunta da anni e razzista fin nel midollo, incline a incutere un sacro terror nero nel cuore dei suoi stessi nipoti…


Danza Macabra

Ero indecisa se menzionarlo o meno, dal momento che si tratta di un fattore completamente secondario. Ma la mia recensione di “A House with Good Bones” potrebbe forse dirsi completa, se mancassi di riferire un pensiero che si è più volte impadronito di me durante la lettura?

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