Da che parte si comincia a sviluppare la trama di un romanzo?
Come si scrive un plot accattivante?
Che cosa significa lavorare sull'”architettura” di una storia?
Bè, ovviamente non esiste una risposta semplice a nessuna di queste domande.
La strada per l’inferno è lastricata di responsi banali a interrogativi intricati: ci avevi mai fatto caso? ;D
Tuttavia, esistono numerose strategie per affrontare la questione, e oggi ho intenzione di svelarti qualche piccolo trucchetto che, con un pizzico di accortezza, ti permetterà di avviarti sulla giusta strada.
Svilupperemo l’argomento nel corso dei post a seguire. Nelle prossime settimane, infatti, avremo modo di parlare della struttura in tre atti, del metodo “Save the Cat!“, e di parecchi altri spunti interessanti!
Ma, per il momento, preferirei concentrami su un paio di aspetti preliminari….
Come si fa a inventare una storia?
Partiamo dall’ABC. E supponiamo che tu sia stato appena folgorato dalla più brillante, originale e anticonvenzionale idea della storia della narrativa!
Immagino che ne sarai orgoglioso.
Ehi, hai tutto il diritto di esserlo: dopotutto, non è mica una cosa che capita tutti i giorni, e forse nemmeno a chiunque! 😀
Peraltro, ho una certa familiarità con il tipo di “brivido” che può derivare un’intuizione del genere: perciò so che si tratta di una delle più deliziose, entusiasmanti, appaganti, maledettamente intossicanti sensazioni che un autore possa sperimentare nel corso della sua giornata!
Mi rendo anche conto di un’altra cosa, però. Dietro l’estasi, spesso si nasconde, in agguato, l’inizio di un nuovo circolo vizioso.
Perché è probabile che, che, dieci o quindici minuti dopo essere stato travolto dalla tua idea geniale, tu abbia già ceduto alla tentazione di sederti alla scrivania e accendere il PC. Con il cuore a mille. E i palmi sudati.
Le tue dita si librano sulla tastiera, già pronte a comporre le fatidiche parole: “Capitolo 1 – Un incidente inaspettato”…
E, ascolta… so che forse non mi crederai, ma questo è proprio il genere di entusiasmo destinato a scagliarti incontro all’errore più grosso del pianeta!
Un po’ come chiedere a qualcuno di sposarti, dieci minuti dopo aver realizzato che condividete gli stessi interessi e che ti piace davvero tanto il suo profumo…
Un’idea è “solo” un’idea. Non una trama.
Proviamo a fare un esempio.
Supponiamo che la tua idea d’origine suoni qualcosa del tipo:
«Nell’Inghilterra dell’XII secolo, una lady Marion alle prese con dei chiari segnali di disforia di genere entra in contatto con una misteriosa entità sovrannaturale. La creatura si offre di trasformare Marion in un ladro gentiluomo a ogni plenilunio, ma, in realtà, il demone sta cercando di ingannarla: l’entità, infatti, si impossesserà dell’anima di ogni poveraccio salvato dalla miseria e, a ogni spirito consumato, continuerà a ingozzarsi di un potere diabolico. Tuttavia, l’intrepido sceriffo di Nottingham, da sempre innamorato di Marion/Robin, scopre la congiura, e decide di vendere a sua volta l’anima al diavolo per cercare di porvi fine.»
Ecco.
Ovviamente, ho tirato fuori questa roba (improponibile) così, su due piedi, a titolo puramente esemplificativo.
La tua idea sarà sicuramente più fresca, più interessante, più ragionevole e più accattivante di così. Non ho nessun dubbio al riguardo! 😀
Il punto non cambia, però: ecco che hai appena avuto un’intuizione, e l’hai già scambiata per una trama!
Così, inebriato dalle tue stesse pulsioni creative, hai deciso di non perdere tempo e ti sei immediatamente seduto a scrivere.
Ti dico che cosa succederà: per un paio di sessioni, l’entusiasmo ti sosterrà come una droga.
Riuscirai a buttar giù 2000 parole come se niente fosse; forse 2500, o addirittura 4000.
Ti sembrerà ti toccare il cielo con un dito. Invincibile. Come se fossi l’astro nascente della speculative fiction.
Un vero treno merci: e chi ti ferma più?
Proviamo a fare un piccolo balzo in avanti, adesso.
Sono passati dieci giorni, magari anche quindici.
E tu ti trovi ancora lì; ancora seduto alla tua postazione, ancora con lo sguardo incollato allo schermo.
Solo che, stavolta, anziché digitare freneticamente sulla tastiera, le tue mani si limitano a tamburellare una fiacca marcetta contro il ripiano del tavolo.
Gli occhi ti bruciano. Le tue tempie pulsano allo stesso ritmo del cursore che continua a lampeggiare sulla pagina.
Una pagina bianca, arida, vuota, che già cominci a detestare con tutto te stesso.
Perché, perché deve essere tutto così difficile?
Eppure, all’inizio la strada sembrava così chiara.
Hai scritto i capitoli iniziali senza (addirittura metà del primo atto – anche se tu, questo, non lo sai ancora).
La tua lady Marion ha appena stretto il patto con il suo demone. Nei panni di Robin, ha derubato un nobile arrogante e ha consegnato le prime monete maledette a una vittima ignara…
E adesso?
Che cosa si suppone che debba succedere?
Non ne hai la più pallida idea. Tutto ciò che ti viene in mente è una parata di cliché, avanzi rimasticati, suggestioni che non ti convincono. I tuoi protagonisti sembrano manichini allineati dietro una vetrina. L’atmosfera ristagna come una nube di fetidi vapori nel vicolo fuori da un rivenditore d’oppio. Ogni azione, ogni dialogo, ogni colpo di scena…
Di colpo, ti sembra tutto così… smorto. Completamente futile.
E così, le tue palpitazioni prendono ad aumentare. Il sudore comincia a scorrerti in rivoli gelidi lungo la schiena.
E, d’un tratto, nella tua mente esplode un’unica, martellante domanda: «Ma dove diavolo ho sbagliato?»
Sviluppare la trama: la “forma” di una storia
Non ho mai presa una lezione di pianoforte in vita mia. In compenso, ho avuto occasione di ascoltare un sacco di pezzi musicali.
Se mi avvicinassi a una tastiera e cominciassi a pigiare un mucchio di tasti a caso, pensi che comporrei una canzone? O farei soltanto un mucchio di rumore?
Eppure, la maggior parte delle persone rifiuta di accettare che un ragionamento del genere possa applicarsi anche alla scrittura.
Io non la penso così. Tu prova a offrire una penna e un foglio a una persona, una che non si è mai presa la briga di studiare l’arte neppure per un secondo, e sta’ pur sicuro che scriverà qualcosa.
Ma quel qualcosa non sarà una storia.
Giusto un mucchio di rumore.
Una storia, infatti, per essere definita tale, deve avere prima di tutto una forma; riconoscibile, inequivocabile, e perfettamente compiuta.
Sai di cosa sto parlando. Hai letto abbastanza libri – e sei andato al cinema abbastanza spesso – da sapere che nulla di quello che accade sulla pagina o sullo schermo avviene per caso.
C’è sempre uno schema. Una serie di ricorrenze. Strategie messe in atto per irretire il lettore (o lo spettatore), e assicurarsi che tutto il potenziale magico di una buona storia abbia la possibilità di manifestarsi.
In soldoni: una vera e propria struttura da rispettare.
«The Story Grid»: le 6 domande fondamentali di Shawn Coyne
Shawn Coyne è un affermato editor e autore di romanzi americano.
Nel suo popolare manuale di scrittura creativa “The Story Grid: What Good Editors Know ”, Coyne afferma che, prima ancora di cominciare a lavorare sulla questione della struttura e della trama, un autore dovrebbe soffermarsi a rispondere a 6 quesit vitalii:
1. Qual è il genere del romanzo che vorresti scrivere? E il sottogenere?
Questa, amico mio, è una domanda più insidiosa di quanto potresti sospettare.
Devi sapere che Coyne definisce il “genere” in maniera leggermente diversa da come potremmo fare tu o io.
Per il momento, però, limitiamoci a prendere in considerazione l’esempio (becero!) di idea primaria che ti ho illustrato poco fa, e proviamo a partire da lì.
Considerando la premessa che ho fatto (Robin Hood, una creatura ultraterrena, un potente maleficio…), che genere di romanzo immagini sia auspicabile sviluppare?
L’autore impreparato magari a questo punto sbufferebbe, spazientito: «Un fantasy, ovviamente! Ma dai, non ti sembra ovvio?»
No. A dire il vero, mi sembra tutt’altro che scontato!
Il mio libro su Lady Marion sarà un retelling. D’accordo, questo è inevitabile.
Ma chi dice che debba trattarsi per forza di un romanzo fantasy?
La mia idea iniziale, dopotutto, non è che una sorta di “matrice”. Dallo stesso spunto potrei ricavare, senza problemi, un horror, un romanzo di fantascienza, una love story, un thriller psicologico, un’allegoria religiosa, e Dio solo sa cos’altro!
Perciò, sì: durante il processo che ti permetterà di sviluppare la trama del tuo romanzo, quella inerente al genere è sicuramente la prima scelta che verrai chiamato a compiere.
Supponiamo, ad esempio, che io decida di scrivere un romanzo horror.
Sarà ambientato a Notthingham, nell’undicesimo secolo. Potrei, quindi, sbilanciarmi un pochino e aggiungere che si tratterà di un romanzo horror storico, con tutte le conseguenze del caso.
A questo punto, forse mi converrà interrogarmi anche circa le mie intenzioni nei confronti del pubblico: svilupperò una trama dal taglio maturo, esplicito, adatta al lettore adulto?
In alternativa, potrei decidere di calibrare le tonalità, le tematiche e l’esatto contenuto della mia storia in base alle esigenze della fascia dei lettori più giovani, e puntare al mondo dell’intrattenimento per ragazzi.
Sono due risposte ugualmente valide.
Ma avere un’idea precisa del mio responso mi permetterà senz’altro di risparmiare un’enorme quantità di tempo, risorse ed energia in fase di seconda stesura e/o durante il processo di revisione!
2. Quali sono le convenzioni e le scene obbligatorie per il genere che hai scelto?
«Le convenzioni dei generi non inibiscono la creatività, anzi, la ispirano. La sfida è quella di preservare la convenzione, evitando il cliché.»
Story – Robert McKee
Secondo Coyne (e McKee!), a ogni genere narrativo deve sempre corrispondere un certo numero di convenzioni e scene obbligatorie.
Se, ad esempio, un autore di romanzi rosa decidesse di saltare allegramente la scena del meet-cute all’interno della sua ultima commedia romantica, oppure uno scrittore di thriller si rifiutasse di inserire la famosa scena del “protagonista alla mercé del villain”, che cosa pensi che succederebbe?
Bè, tanto per cominciare, quegli autori rischierebbero seriamente di venir meno alle aspettative del pubblico.
Che, detto fra te e me, non è mai una buona idea. Specialmente se miri a evitare che quei lettori infastiditi possano sentirsi tentati di dare libero sfogo alla propria frustrazione attraverso una luuuuunga e particolareggiata recensione negativa su Amazon e Goodreads.
Ma c’è di peggio.
Perché il punto è questo: la verità è che senza quei momenti-chiave, senza quelle scene e convenzioni, la struttura della loro trama comincerebbe irrimediabilmente a collassare su se stessa!
La loro storia non avrebbe più alcuna possibilità di funzionare.
Ciò premesso…
In che modo è possibile stabilire quali siano le scene obbligatorie e le convenzioni inerenti al tuo genere di riferimento? Dopotutto, non è che esistano liste già compilate e pronte…
Ancora una volta, la risposta è di ordine molto mondano: raggiungerai il tuo obiettivo studiando la struttura delle trame dei libri, dei film, delle graphic novel e delle serie tv che hanno segnato/stanno tutt’ora segnando la storia del genere in questione!
Ricordi quando di ho parlato dell’importanza fondamentale della lettura? Di come “leggere molto, scrivere molto” sia sempre stato il primo (e unico) comandamento impartito da Sua Santità Stephen King in persona?
Ecco.
Adesso torniamo all’esempio del mio retelling della leggenda di Robin Hood, e supponiamo che io abbia deciso di scrivere uno YA.
Quali romanzi dovrei accingermi a “studiare”?
Bè, nel campo dell’horror storico per ragazzi, autori recenti come Libba Bray, Kiersten White, Justina Ireland, Chloe Gong, Frances Hardinge e Laura Purcell hanno sicuramente fatto cose meravigliose!
Ma non guasterebbe gettare un’occhiata anche ai “grandi nomi” dell’horror storico per adulti (Alma Katsu, Dan Simmons, Anne Rice eccetera eccetera). O ad altri retelling ambientati grossomodo nello stesso periodo storico, magari ispirati anche alla stessa leggenda.
Ovviamente, ricorda che non ti suggerendo di copiare, o di limitarti a riciclare dei contenuti già visti.
L’esatto opposto, in realtà.
Come pensi di essere in grado di alzare l’asticella, se non hai neanche la più pallida di dove quell’asticella si trovi, esattamente, in questo momento?
3. Qual è il punto di vista?
Quella del punto di vista è senz’altro una questione complessa e insidiosa, che merita un discorso a parte.
Resta il fatto che, prima ancora di cominciare a sviluppare la trama del tuo nuovo romanzo, verrai chiamato a compiere un’altra scelta fondamentale: vale a dire da quale/i punto/i di vista racconterai gli eventi, e in che modo questo ti permetterà di “influenzare” il responso emotivo del tuo lettore.
Hai un intero ventaglio di opzioni aperto di fronte a te, perciò ti esorto a rifletterci bene.
Potresti attenerti a una narrazione in prima persona, o in seconda, o in terza. Potresti prediligere una focalizzazione interna o esterna.
Diamine: per tornare all’esempio di prima, potrei addirittura scegliere di trasformare la mia Lady Marion in una narratrice inaffidabile, e svelare soltanto in corrispondenza del “midpoint” che, in realtà, l’incontro con la creatura sovrannaturale non è mai avvenuto.
Marion è sempre stata la peggior nemica di se stessa (un semplice cambio di prospettiva, e… voilà! Ecco che il mio romanzo horror si trasforma in un thriller psicologico!).
In ogni caso, ricorda: per un autore alle prime armi, quella di restare “incollati” al punto di vista del protagonista, evitando peraltro di inserire un numero eccessivo di sottotrame, potrebbe rappresentare una decisione vantaggiosa.
Ma non è detto che lo sia per forza e, in ogni caso, di sicuro non è l’unica possibile.
4. Qual è l’oggetto del desiderio del protagonista?
«Creare un protagonista davvero passivo è un errore tristemente comune. Non si può raccontare la storia di un protagonista che non VUOLE nulla, che non sa prendere le decisioni e le cui azioni non comportano cambiamenti a nessun livello.»
Story – Robert McKee
Cominciamo così ad addentrarci nella questione della creazione del protagonista (tema che approfondiremo in seguito).
Uno dei comandamenti fondamentali della (buona) narrativa recita così:
Il protagonista della tua storia sarà un personaggio volitivo.
Avrà un desiderio consapevole.
Potrebbe anche avere un desiderio inconscio, in grado di contraddire quello conscio.
Ma, in ogni caso, fin dalle prime scene dovrà dimostrare dimostrare di possedere le qualità necessarie a perseguire in modo convincente l’oggetto del suo desiderio.
In parole povere: affinché la tua storia abbia la possibilità di funzionare, il tuo protagonista deve VOLERE qualcosa.
Questo desiderio, questa ambizione pulsante e consapevole da parte sua, fornisce il combustibile necessario al progresso della trama, ed è tutto ciò che permette al lettore di stabilire una connessione immediata con il tuo eroe o la tua eroina.
Harry Potter vuole la Pietra Filosofale. Clarice Starling vuole fermare Buffalo Bill. Katniss Everdeen vuole sopravvivere all’arena.
Tutti vogliamo qualcosa.
5. Qual è il TEMA del romanzo?
Dalla scelta del genere deriva anche quella del cosiddetto tema del romanzo. Un concetto affine, se vogliamo, a ciò che McKee definisce “l’idea di controllo”.
All’interno del suo prezioso manuale “Save the Cat: Write a Novel!”, l’autrice Jessica Brody ci spiega:
«Quello che l’eroe vuole (il suo oggetto del desiderio), in realtà è soltanto metà della storia. La vera anima di un romanzo risiede in ciò che di cui l’eroe HA BISOGNO, ciò che può anche essere chiamato “l’obiettivo interno”, la lezione di vita, o la lezione spirituale.
Save the Cat: Write a Novel – Jessica Brody
In “Hunger Games”, Katniss ha un obiettivo molto pratico e “mondano”: sopravvivere ai Giochi.
Ma, a un livello più profondo, sappiamo tutti che questa non è l’unica cosa di cui ha bisogno. E, forse, nemmeno la più importante.
Suzanne Collins costruisce quindi una catena di eventi molto precisa, in grado di insegnare a Katniss una lezione preziosa: se vuole vincere, vincere per davvero, non potrà limitarsi a sopravvivere a Capital City… dovrà sconfiggerla.
E in che modo potrà riuscirci? Semplicemente, dimostrando a Snow e agli altri che Capital City non la possiede.
Nel finale, la ragazza mette quindi in pratica gli insegnamenti che ha appreso nell’Arena (versando sangue e lacrime, sacrificano amici…) e si rifiuta di lasciare che Peeta venga ucciso. Dopotutto, meglio morire, di una morte dignitosa, pulita e “giusta”, piuttosto che lasciarsi corrompere da un sistema oppressivo, ingiusto e corrotto.
Qual è, quindi, la lezione universale che tutti noi possiamo ricavare dalla trama di “Hunger Games”?
Che la RESPONSABILITA’ è il fulcro di tutto: soltanto tenendo fede ai nostri doveri, accettando di batterci per una giusta causa e abbracciando il nostro destino, possiamo sperare di riuscire a dare un significato alle nostre vite.
Perciò, vedi?
I bisogni del tuo protagonista, sia consci che inconsci, hanno il potere di plasmare il disegno della tua storia.
Prima ancora di cominciare a sviluppare la trama del tuo romanzo, dovrai quindi sforzarti di identificarli, in modo tale da costruire l’intreccio in base a queste necessità.
6. Quali sono l’inizio, la parte centrale e la fine della tua trama, e in che modo si collegano gli uni agli altri, formando una sorta di “cerchio” perfettamente compiuto?
Nel corso dei prossimi post, parleremo abbondantemente della STRUTTURA IN TRE ATTI e del concetto di ARCO NARRATIVO, e del modo in cui potrai usarli per conferire un ordine, un disegno e uno scopo alla sequenza di eventi narrati all’interno del tuo romanzo.
Prima di cominciare a scendere nei dettagli, però, mi piacerebbe sottoporre alla tua attenzione un illuminante articolo pubblicato dall’autrice Rachel Aaron: il post si intitola “How I Plot A Novel in 5 Steps”, ed è disponibile per la consultazione gratuita presso il suo sito web.
Se ti trovi alle prese con la progettazione del tuo primo romanzo, o se hai intenzione di provare seriamente a migliorare l’efficacia delle tue trame, ti consiglio di dare un’occhiata ai suoi numerosi consigli operativi: qualcosa mi dice che li troverai utilissimi! 🙂