“My Darling Dreadful Thing”: la recensione del libro gotico di Johanna van Veen


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Posso rivelarti un segreto? La lettura di “My Darling Dreadful Thing“, il romanzo gotico d’esordio di Johanna van Veen, mi ha creato più momenti di frustrazione che emozioni, brividi o spunti di riflessione.

In realtà, si tratta di un libro che, all’estero, ha sicuramente riscontrato più pareri positivi che negativi. E non sarò certo io a mettere in discussione i numerosi pregi di questa tragica, semi-delirante storia di dolore, abusi e fantasmi: del resto, Johanna van Veen ci sa sicuramente fare con le parole… Tant’è che, sotto certi aspetti, alcuni passaggi di “My Darling Dreadful Thing” mi hanno addirittura ricordato l’atmosfera vibrante e suggestiva di alcune opere dell’immensa Sarah Waters!

Ma non vedo proprio perché dovrei mentire o sovrastimare il mio livello di coinvolgimento nei confronti di un romanzo che, a conti fatti, è riuscito a trasmettermi soltanto un grandissimo senso di scoraggiamento, noia e delusione…


La trama

Roos Beckman ha uno spirito-companion, una ragazza fantasma che soltanto lei riesce a vedere. Il suo nome è Ruth: una creatura bizzarra, simile a un cadavere ambulante, defunto da secoli.

Ruth è l’unica luce nella vita di Roos. La ragazza, infatti, è stata allevata da una madre abusiva quanto scaltra, che la costringe a esibire le sue notevoli doti di medium/ciarlatana fin dalla più tenera età.

Ruth è sempre stata la sua unica amica. Bè, almeno fino a quando nella sua vita non irrompe, con la forza di un uragano, la ricca e vitale Agnes Knoop, una giovane vedova determinata a mettere alla prova le capacità spirituali di Roos. Basta una singola seduta, infatti, e fra le due giovani donne inizia a instaurarsi una potente, magnetica connessione.

Agnes strappa via Roos dalle grinfie di sua madre e la conduce nella decadente magione che ha ereditato dopo la morte del marito. La sorella di quest’ultimo, Wilhelmine, bellissima e afflitta da una malattia mortale, infesta i corridoi della magione come se fosse già uno spettro. Come se non bastasse, nel cuore della notte strani odori sembrano indugiare nei corridoio, e alcune raccapriccianti statue di santi risiedono nella cappella abbandonata della famiglia, a testimonianza del fanatismo del loro capostipite.

Un’essenza terrificante ammorba l’aria della magione: Roos se ne accorge subito, ma non può negare l’attrazione che sente crescere nei confronti di Agnes.

E così, una notte terribile, la morte si abbatte sul maniero. Qualcuno finisce assassinato. Per provare la propria innocenza – e la propria sanità mentale – Roos sarà costretta a svelare, al di là di ogni dubbio, chi – o cosa – sia stato responsabile di tanta violenza e depravazione. O perdere tutto ciò che ha di più caro nel tentativo.


My Darling Dreadful Thing“: la recensione

Il cult di Shirley Jackson “Abbiamo Sempre Vissuto nel Castello” incontra “Crimson Peak” di Guillermo del Toro: potrebbe essere una descrizione abbastanza accurata per il libro di Johanna van Veen… Anche se, a conti fatti, immagino che nessuno di questi due titoli sia in grado di rendere un’idea del livello di tristume, morbosità e miseria che sembra permeare ogni singola pagina di questo acclamato romanzo gotico del 2024.

A dire il vero, però, mi verrebbe spontaneo fare un paragone soprattutto con il meno conosciuto “Daphne Byrne“, una miniserie a fumetti di Laura Marks e Kelley Jones (pubblicata in Italia da Panini).

Si tratta, ad ogni modo, di una storia che affronta molti temi classici della narrativa gotica, abbracciando la maggior parte dei tropes cari a questo genere e confezionando una storia allucinante e spietata, perennemente in bilico fra veglia e sonno, vita e morte, lucidità e follia.

L’argomento della psicanalisi diventa particolarmente centrale, grazie all’introduzione del personaggio di un tenace dottore determinato a scoprire la brutale “verità” che potrebbe celarsi dietro le apparenti farneticazioni di Roos. Non per niente, i (numerosi) fantasmi di “My Darling Dreadful Thing” sembrano incarnare, più che il “Male” inteso come forza assoluta, i mali della nostra società: abusi sessuali, trauma, pregiudizio, razzismo, omofobia, repressione religiosa ecc.

Johanna van Veen, questo va detto, riesce a trattare ciascuno di questi temi con un tatto e una sensibilità che le fanno un grandissimo onore. Di fatto, anche se gli elementi disturbanti non mancano – a cominciare da una scena di stupro che spezza il cuore – lo stile dell’autrice si mantiene sempre sobrio, delicato, pieno di umanità e di compassione.


Spirale discendente

Il primo atto di “My Darling Dreadful Thing” si rivela di una potenza straordinaria.

La vulnerabilità di Roos, l’ambiguità della sua voce narrante e la ferocia primigenia di Ruth riescono immediatamente a evocare una cupa scenografia di luci e di ombre, un palcoscenico calcato da un cast di “attori” dall’identità incerta: persone, mostri, sogni, spettri e frammenti dell’immaginazione… Nella mente devastata di Roos, tutto si mescola e si sovrappone, suscitando nel lettore un fervente sentimento di anticipazione.

L’incontro con Agnes, una scena assolutamente folgorante e ricca di magnetismo, non fa altro che rafforzare questa tensione, spingendoci a immaginare degli sviluppi straordinari sotto ogni punto di vista… incluso, ovviamente, quello del romance.

Peccato che nessuna delle nostre previsioni si riveli azzeccata e che, nel corso delle pagine successive, il ritmo dilatato di My “Darling Dreadful Thing” arrivi rapidamente a sprofondare in un’interminabile spirale di ripetizioni ed eventi banali. Capitoli interi di Agnes che svanisce, Ruth che minaccia un po’ di gente a caso senza intenderlo sul serio, e Roos che si ostina ad aggirarsi per un mucchio di stanze dimenticate dagli dei, facendo domande sul defunto marito di Agnes e fingendo che questo basti a trasformare la sua storia in una sorta di horror generazionale di qualche interesse.

La stessa Wilhelmine, che pure dovrebbe portare una ventata di mistero e crudeltà all’interno della casa, alla fine risulta più patetica che affascinante; mentre Thomas, il marito di Agnes, riesce a qualificarsi soltanto come l’ennesimo, estenuante spettro del patriarcato da esorcizzare.


Le più pazze del reame, o… le più spezzate?

Per tutto il tempo, ho continuato a pregare ardentemente che succedesse qualcosa di diverso da ciò che mi aspettavo. O che la love story fra Roos e Agnes acquisisse un certo spessore – che l’autrice riuscisse, in qualche modo, a suggerire l’idea di una credibile base per il loro legame, al di là di un semplicistico “mi sa che dobbiamo innamorarci perché siamo le più pazze del reame“, o “E che cavolo, almeno tu non sei una psicopatica bastarda!”.

Che cos’ho ottenuto, invece?

Soltanto una girandola di sbiaditi, prevedibilissimi omaggi a “Il Giro di Vite” di Henry James, un finale addirittura più deprimente di quello di “Creature del Cielo“, e un senso di nostalgia travolgente nei confronti dei meravigliosi, struggenti personaggi a tutto tondo di “The Haunting of Bly Manor“!

C’è sicuramente un aspetto di “My Darling Dreadful Thing“, però, che mi sono ritrovata a stimare: un eccellente uso del narratore inaffidabile! Come ti dicevo, Johanna van Veen riesce a farci dubitare costantemente delle parole della sua protagonista, presentandoci due versioni versioni opposte – ma ugualmente convincenti – della “verità”.

Se – come me – ti consideri un vero e proprio “fanatico” di questo espediente, e non ti sei più perso un horror psicologico dai tempi de “Il Cigno Nero“… Considera l’idea di recuperare “My Darling Dreadful Thing“.

Leggilo esclusivamente in un periodo di serenità emotiva, però, e non quando ti sembra già che il mondo sia un posto grigio e cattivo dal quale non riuscirai mai più a riprenderti!

E sappi che, fino a quel momento, la tua copia di “My Darling Dreadful Thing” – disponibile in lingua originale inglese – ti aspetterà su Amazon.


Cosa leggere dopo “My Darling Dreadful Thing“?

  • Il Filo Avvelenato” di Laura Purcell
  • What Moves the Deads” di T. Kingfisher
  • Wild and Wicked Things” di Francesca May
  • Things Have Gotten Worse Since We Last Spoke” di Eric La Rocca

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