“A Good Girl’s Guide to Murder”: la recensione della serie tv mistery disponibile su Netflix


a good girl's guide to murder - recensione serie tv

Titolo originale: A Good Girl’s Guide to Murder

Genere: Mistery/Teen

Anno: 2024

Piattaforma: Netflix

Stagione: 1

Cast: Emma Myers; Zain Iqbal; India Lillie Davies; Asha Banks; Anna Maxwell Martin.


Di cosa si tratta:

La comunità di Little Kilton, una deliziosa cittadina britannica da cartolina, non si è mai ripresa del tutto dalla tragedia che l’ha colpita anni prima: la scomparsa dell’adolescente Andie Bell (India Lillie Davies), una ragazza popolare e apparentemente benvenuta da tutti.

A quanto pare, il suo ragazzo, Sal (Rahul Pattni), ha ucciso Andie e poi si è tolto la vita, probabilmente in preda ai sensi di colpi. Ma, in realtà, il corpo di Andie non è mai stato trovato, e la liceale Pippa Fitz-Amobi (Emma Myers) non si è mai bevuta del tutto questa versione della storia.

Per quale ragione una persona gentile, premurosa e altruista come Sal avrebbe dovuto fare del male a Andie? Il biglietto di scuse che Sal si è lasciato alle spalle ha spazzato via ogni dubbio dalla mente della polizia, per cui nessun detective si è sforzato di indagare seriamente sul caso o ha sperperato tempo e risorse preziose nell’impossibile tentativo di ritrovare Andie.

Dietro il pretesto di un compito scolastico, Pippa decide quindi di avviare un’indagine tutta sua, reclutando, fra le altre cose, l’aiuto di Ravi (Zain Iqba), il fratello minore di Sal.

Ma le domande e le teorie di Pippa smuoveranno un autentico vespaio a Little Kilton, una città che ha sempre saputo custodire bene i suoi segreti…

E così, mentre la ricerca della verità da parte di Pippa inizia ad assumere sempre più i connotati di un’oscura ossessione, dall’ombra qualcuno si prepara a intervenire, tenendo d’occhio ogni mossa della ragazza e spingendosi al punto di minacciare i suoi affetti più cari…


“A Good Girl’s Guide to Murder”: la recensione della serie tv Netflix

Si può essere fan della strepitosa trilogia YA di Holly Jackson e contemporaneamente di questo (succinto) adattamento televisivo targato Netflix?

Al di là di ogni possibile polemica sull’argomento, mi sembra che sia questa la domanda che ha cominciato a ronzare nella mente della maggior parte di noi lettori.

Perché, certo, sei episodi sembrano pochi per esplorare l’intrigante mistero e le coinvolgenti dinamiche relazionali di cui “Come Uccidono le Brave Ragazze”, in versione romanzo, riesce a parlare in modo così immersivo e convincente. E non è tanto il numero degli eventi tagliati o rimaneggiati a disturbare il lettore fedele, secondo me, quanto piuttosto il frenetico ritmo da videoclip con cui la sceneggiatura continua a stordire e bersagliare lo spettatore.

Un assoluto ciclone di colpi di scena, sì. Gli stessi che ritroviamo fra le pagine del libro della Jackson, a livello sia quantitativo che contenutistico. Peccato che, senza le doverose “pause” necessarie ad assimilare le nuove informazioni (le parentesi ironiche, le gag, le sottotrame ecc.) l’abbondanza di twist faccia presto a trasformarsi in una sorta di sovrabbondanza, complici anche un montaggio pressante e una colonna sonora che si sforza così tanto di strizzare l’occhio alla generazione Alpha, da risultare addirittura ridondante…


“Adattare” significa “cambiare”

In realtà, i sei episodi di “A Good Girl’s Guide to Murder” si lasciano guardare in preda a un certo senso di piacere colpevole. Sospetto che i lettori faranno fatica a spiegare, a un amico del tutto ignaro dei romanzi, per quale motivo la visione abbia lasciato così tanti di noi in preda a una leggera sensazione di amaro in bocca.

La trama è serrata e interessante, dopotutto; i personaggi, ben caratterizzati e pieni di sorprese. Il cast svolge un lavoro esemplare, a partire dalla meravigliosa Emma Myers. Infatti, l’attrice americana di “Wednesday“, con i suoi occhioni espressivi e i suoi variopinti costumi, riesce a centrare alla perfezione quel peculiare connubio fra adorabile “goofiness” e ostinata determinazione da segugio che contraddistingue l’essenza stessa del personaggio di Pippa (perfino là dove la sceneggiatura si rifiuta palesemente di assisterla nel compito).

Lo script, dal canto suo, vanta almeno tanti pregi quanti difetti. Ad esempio, ho apprezzato molto la scena d’apertura del primo episodio, e in modo particolare la “presentazione” al pubblico di Pippa: infatti, la cronica incapacità di mentire dimostrata dall’eroina mette immediatamente in risalto la sua natura da cronica “brava ragazza” e permette anche chi non ha familiarità con il lavoro della Jackson di cogliere l’essenza del personaggio in un battibaleno.

Senza contare che, se mai dovesse essere annunciato l’adattamento dei due libri successivi, questa scena rappresenterebbe un punto di partenza assolutamente brillante per l’arco trasformativo di Pippa nel suo complesso!

Voglio dire, basta pensare all’ultima scena di “Una Brava Ragazza E’ Una Ragazza Morta” per capire dove voglio arrivare…


Sacrifices must be made…

Insomma, inutile girarci intorno: il numero degli eventi e dei personaggi, nella serie, viene inevitabilmente ridimensionato. E a farne le spese sono soprattutto comprimari del calibro di Stanley (su cui si è preferito sorvolare) e Natalie.

In compenso, il padre e la madre di Pippa hanno ottenuto un po’ più di luce sotto i riflettori, soprattutto grazie all’inserimento di una certa sottotrama incentrata sulla figura di Victor. Che, in realtà, non mi ha disturbato in modo particolare… ma non mi ha neanche convinto del tutto.

La sensazione generale, con il senno di poi, è che la sceneggiatrice di “A Good Girl’s Guide to Murder” abbia voluto semplicemente assicurarsi che il talento di un’attrice del calibro di Anna Maxwell-Martin (Leanne Amobi) non andasse completamente sprecato.

E, a conti fatti, non riesco a considerarlo un cattivo compromesso.


La mia linea nella sabbia

Il cambiamento che mi ha veramente deluso – l’unico su cui non me la sento di sorvolare – ha a che fare, piuttosto, con le evidenti modifiche apportate alla caratterizzazione di Andie.

Andie Bell, intendiamoci, ha sempre rappresentato il personaggio più importante del romanzo (dopo Pippa, ovviamente). Sì, perfino più di Ravi, e sicuramente due o tre volte più del gruppo di amici di Pips.

Vuoi sapere qual è l’aspetto di “Come Uccidono le Brave Ragazze” che mi ha sempre affascinato di più?

Il fatto che fra Pippa (l’eroina) e Andy (la vittima, ma anche la mean girl, con tratti, sotto certi aspetti, anche un po’ da villain…) esista una sorta di complesso, morboso rapporto di immedesimazione/antagonismo-a-stento-represso. Nel romanzo, sono come le due facce di una stessa medaglia, Pippa e Andy. Per riuscire a capire veramente la psicologia, i pregi e i difetti dell’una, devi necessariamente imparare prima a conoscere quelli dell’altra.

Nella serie tv, invece, c’è soltanto Pippa.

Andy è , certo: la sua scomparsa è ciò che continua ad alimentare il motore del plot, a giustificare la necessità di questa vorticante girandola di colpi di scena di cui parlavamo prima.

Ma è come se la sua personalità fosse stata… offuscata, appiattita dalla sceneggiatura dello show televisivo, in un certo senso; costretta a rimpicciolirsi fino a confondersi sullo sfondo.

Nella serie Netflix, Andy è un personaggio come gli altri; a un certo punto, si trasforma addirittura nella patetica copia-carbone della tipica vittima da telefilm procedurale vecchio stampo.

Tant’è che, a chiosare questa versione della sua storia, provvede quella che risulta, a mio avviso, come una delle scene più artefatte e meno ispirate dell’intera stagione televisiva…


Ciò che c’è e ciò che manca

Ed è un peccato. Sarò probabilmente l’unica fan della Jackson a pensarla in questo modo, ma ritengo che la sceneggiatura di “A Good Girl’s Guide to Murder” non abbia apportato un sufficiente numero di modifiche rispetto a quanto narrato nel libro originale.

Una buona trasposizione sa come fare buon uso dei mezzi espressivi a propria disposizione, dopotutto. E un adattamento fedelecome il lavoro di Mike Flanagan sui testi di Jackson, James e Poe è sempre lì per dimostrare – non implica necessariamente un adattamento letterale del materiale originale.

Così, anche se la showrunner/sceneggiatrice Poppy Cogan ha saputo cogliere ed enfatizzare alcuni aspetti essenziali del romanzo (la protagonista larger-than-life, l’atmosfera small town, la storia d’amore, le dinamiche giovanilistiche…), ne ha indubbiamente trascurati tanti altri. Soprattutto quelli relativi all’approfondimento psicologico, alle tematiche più dark e scottanti del plot.

Tutti quegli ingredienti che, in ultima analisi, avrebbero forse potuto aspirare a coinvolgere anche la fasce di pubblico dai vent’anni in su.

Così facendo, ha deliberatamente trasformato “Come Uccidono le Brave Ragazze” in un prodotto di intrattenimento cotto-e-mangiato, cucito su misura per soddisfare le esigenze del pubblico teen.

Si sarebbe potuto fare (molto) di più?

Oh, non ho alcun dubbio al riguardo!

Ma non con quel budget. E, sicuramente, non su Netflix, nel 2024.

Dopotutto, i produttori non hanno costretto la Cogan a trasformare il titolo dello show in una cosa del tipo “A Sexy Girl’s Guide to Murder“: non so come la vedi, ma io, ormai, considero già questo un piccolo miracolo…


E tu? Cosa ne pensi della mia recensione di “A Good Girl’s Guide to Murder”?

Hai già visto la serie/letto i libri di Holly Jackson? 🙂


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