La mia recensione di “Fiore di Cadavere” si apre su una nota di lieve sconcerto: in effetti, il mio livello di gradimento nei confronti dell’atteso thriller di Anne Mette Hancock è stato così basso, da trasformarmi immediatamente nella riluttante portatrice di una “very impopular opinion”!
A livello di intreccio e di personaggi, l’ho trovato un romanzo asettico, banale e deliberatamente manipolatorio.
Peraltro, secondo me, il livello di qualità si aggira, più o meno, intorno a quello di un qualsiasi episodio dello show “Law&Order: Special Victims Unit”.
Con una notevole differenza…
In termini di umanità, credibilità ed empatia, il personaggio di Heloise Kaldan – giovane giornalista investigativa nata dalla penna di Anne Mette Hancock – non ha nessuna speranza di reggere il confronto con la mitica detective Olivia Benson della serie tv!
Urge una piccola precisazione, però: amo il genere crime, ma non sono mai stata una grandissima fan del thriller nordico.
E “Fiore di Cadavere” è un libro che tende sicuramente a seguire il copione di autori come Stieg Larsson o Jo Nesbø…
La trama
La giornalista danese Heloise Kaldan ha l’impressione di vivere in un incubo.
Una delle sue fonti è stata beccata a mentire e, da un momento all’altro, lei potrebbe perdere il lavoro.
Come se non bastasse, Heloise riceve la prima di una lunga serie di missive dal contenuto piuttosto criptico… e quanto mai disturbante!
L’autrice delle lettere è una latitante in fuga, una certa Anna Kiel, sul cui capo grava un’accusa di omicidio.
Dal giorno in cui una videocamera di sicurezza ha registrato la sua immagine, inquietante e grondante sangue, sul sito del brutale assassinio di un giovane avvocato, Anna non si è più fatta vedere né sentire.
Le autorità ritengono che abbia lasciato il Paese, almeno fino a quando il detective Erik Scháfer non riesce a individuare una pista che potrebbero collegare Anna al reporter che, ai tempi dell’omicidio, seguì il suo caso per conto dello stesso giornale per cui lavora adesso Heloise.
Pochi giorni dopo, il cronista in questione viene trovato morto nel suo appartamento.
Possibile che Anna Kiel abbia colpito di nuovo? O a piede libero c’è più di un assassino?
Mentre indaga sulla nuova catena di eventi, Scháfer non può fare a meno di chiedersi… perché tutti gli indizi sembrano puntare in direzione di Heloise Kaldan?
E che cosa vuole Anna da lei?
“Fiore di Cadavere”: la recensione
A mio avviso, la sinossi del thriller di Anne Mette Hancock promette un livello di tensione che il plot non si rivela assolutamente in grado di sostenere.
Certo, il mistero che ruota attorno alla figura di Anna è piuttosto intrigante…
Ma siamo seri: alla resa dei conti, non è difficile risolvere l’enigma che circonda la sua vita!
Anche perché, dal punto di vista del lettore, nessuna delle “false piste” predisposte dall’autrice si dimostra credibile, e la caratterizzazione dei personaggi secondari non sembra mai inoltrarsi oltre il mero livello superficiale.
In realtà, “Fiore di Cadavere” è un libro piuttosto “diretto”, che rifiuta ogni forma di sottigliezza e cerca piuttosto di assestare a chi legge un paio di vigorosi colpi sotto la cintura, al diavolo i sottotesti e qualsiasi forma di ambiguità morale!
Il messaggio, strombazzato dall’alto di un tetto e completamente privo di filtri, arriva all’orecchio del lettore forte e chiaro: la natura umana è un’immonda sozzura.
Nelle nostre città girano dei mostri, vestiti di tutto punto e pronti a cibarsi degli innocenti.
Diavoli che farebbero qualsiasi cosa pur di soddisfare i loro capricci, rendendo la terra su cui camminiamo un luogo desolato, sudicio e pronto a scivolare nella più completa dannazione.
La cosa peggiore? Molti dei cosiddetti cittadini “perbene” li lasciano fare.
Perché, talvolta, la gente è cattiva esattamente come sembra, e forse anche di più.
In realtà, se c’è una cosa che devo concedere alla Mette Hancock, è proprio questa sua capacità di costruire un’ambientazione “nerissima”, in cui il mondo appare come una gigantesca pattumiera, traboccante di indifferenza, dolore, violenza e morte.
Una stagnante atmosfera di tristezza e solitudine avvolge i personaggi del suo libro come una ragnatela, trascinandoli con sé in un tetro limbo interstiziale, a metà strada fra inferno e purgatorio.
Una protagonista senz’anima
La costruzione del protagonista di un thriller psicologico è un processo molto delicato e importante.
Sei d’accordo con me?
Non è sempre facile “azzeccare” quella perfetta combinazione fra coraggio e vulnerabilità; fra il bisogno di superare un trauma, e l’umanissima tentazione di continuare a crogiolarsi nelle proprie ferite.
Mi viene da pensare, istintivamente, al meraviglioso personaggio di Clarice Starling ne “Il Silenzio degli Innocenti”.
Ma anche – per restare in un ambito più recente – alla straordinaria coppia formata da Cyrus Haven e Evie Cormac nel bestseller di Michael Robotham “Brava Ragazza, Cattiva Ragazza”.
Per come la vedo io, Heloise Kaldan è un personaggio che ha veramente pochissimo da offrire al lettore.
Tanto per cominciare, perché la sua caratterizzazione risponde a più stereotipi di quanti sarei in grado di elencare.
La giovane giornalista rampante, sexy, vegetariana e trendy fino al midollo?
Mmm…
Come no! Non so perché, ma mi sembra di averla già sentita da qualche parte! 😀
Peraltro, il personaggio di Heloise sembra cucito apposto per rafforzare uno dei più sessisti e diffamatori stereotipi che circondano le croniste di ogni latitudine nella vita reale: quello della reporter pronta ad andare a letto con le sue fonti.
L’ennesimo esempio di pessima, pessima rappresentazione femminile.
Ma non è tutto qui, vedi.
Al di là delle sue scappatelle, Heloise risulta un personaggio piuttosto blando.
Soprattutto perché nessuna delle sue reazioni, o delle scelte che compie nel corso della narrazione, riesce mai veramente a rivelarci qualcosa di inaspettato o specifico sulla sua natura.
Il noir scandinavo, solito e crudele
La capacità di Heloise di influenzare la trama comincia a manifestarsi soltanto a partire dall’ultima metà del secondo atto, o giù di lì.
Tutto ciò che avviene prima, sembra più che altro una collezione di incidenti e coincidenze senza capo né coda.
Lo stesso Scháfer – il personaggio maschile più importante – ha uno spessore abbastanza inconsistente, e un arco narrativo che non porta da nessuna parte.
A questo punto, però, mi pare doveroso terminare la recensione di “Fiore di Cadavere” elencando anche le cose che mi sono piaciute.
Nello specifico, i notevoli e serrati dialoghi.
All’autrice bastano un paio di battute, anche in scansione diretta, per permettere al lettore di “inquadrare” un personaggio.
Inoltre, il ritmo del romanzo, scorrevole e avvincente, aiuta senz’altro a “digerire” meglio i pesantissimi argomenti messi in luce dal plot.
Anche se, tutto considerato, non mi è piaciuto molto il modo in cui l’autrice ha deciso di giocarsi la carta della sua grande e scottante Tematica.
Vale a dire, scaraventandola in faccia al lettore, come se si trattasse di una sorta di “asso-piglia-tutto”: vuoi vedere che adesso ti faccio piangere? Vuoi vedere che adesso ti faccio incazzare?
E, naturalmente, l’effetto è garantito.
Perché come si fa a non indignarsi, a non disperarsi, al cospetto di un elenco di atrocità e bestialità tali da far piangere il cielo stesso?
Ma non vuol dire molto, in realtà.
Perché l’importanza e l’impatto emotivo che una tematica è in grado di esercitare non hanno alcuna correlazione con la qualità della scrittura o con la stabilità della trama.
Perciò, vedi…
Nella mia mente, “Fiore di Cadavere” rimarrà sempre un libro algido, sterile, freddissimo, che parla a cuor leggero di violenza e di altri argomenti incandescenti.
Ho letto il romanzo. Avrei potuto rovistare fra le pagine di un tabloid, a caccia di un dettagliatissimo campionario di malvagità umana.
Non mi sarei accorta della differenza.
E tu? Cosa pensi della mia recensione di “Fiore di Cadavere”?
Hai già letto il thriller di Anne Mette Hancock? 🙂