“Vampire in the Garden” è un anime in 5 episodi disponibile su Netflix.
La serie sfoggia un’estetica horror alla “Devil May Cry” e una tipica ossatura da racconto distopico. Da un punto di vista strutturale, però, incarna due generi completamente diversi: la STORIA DI FORMAZIONE e la LOVE STORY.
Questo che cosa implica?
Bè, tanto per cominciare, che non dovresti lasciarti ingannare dai dettagli visul-gore delle animazioni e dall’eccitante taglio in stile action della premessa!
Non fraintendermi: la trama di “Vampire in the Garden” si rivela sicuramente in grado di offrire parecchie gustose scene di intrattenimento ad alto tasso di adrenalina.
Ma la sua costruzione tende ad appoggiarsi soprattutto sulla componente romantica e sul viaggio di crescita interiore delle due protagoniste, concedendo poco spazio all’approfondimento del wordlbuiling e alla qualità dei colpi di scena…
La trama
In un futuro prossimo, la piaga del vampirismo si è diffusa in maniera esponenziale, dando inizio a una spietata guerra fra le razze che sta mettendo a dura prova il destino del mondo.
Fine è una vampira aristocratica e tormentata. Tuttavia, dietro una facciata all’insegna della dissoluzione e del decadentismo più sfrenato, la donna nasconde un desiderio di morte e un profondo disgusto nei confronti della violenza insensata che la circonda.
Momo è la figlia del Comandante dell’Esercito di Liberazione Umano. Un soldato semplice, che si sforza disperatamente di ignorare i mali della corruzione e di continuare a distogliere lo sguardo dallo stato di squallore, oppressione e miseria in cui la sua gente è costretta a vivere.
Entrambe sperimentano una fase di “fuga dalla realtà” che, di fatto, tende a dare loro un sollievo sempre più effimero…
Finché il loro incontro, innescato dall’ennesima esplosione di barbarie insensata, interviene a cambiare per sempre il corso della loro vite, e il destino del mondo.
I tropes
“Enemies-to-lovers”, “Star-crossed lovers”, opposti che si attraggono…
La struttura dei cinque episodi prodotti dallo Studio Wit si appoggia pesantemente ad alcuni fra i più popolari tropes inerenti al genere romance.
Assolutamente nulla di male in questo. Anzi. Considerando lo scarso tempo (e spazio) a disposizione, bisogna ammettere che la sceneggiatura riesce a sviluppare l’aspetto della relazione fra le due protagoniste in maniera particolarmente ammirevole.
All’inizio della prima puntata, sembra quasi che Momo e Fine provengano da due pianeti opposti.
La giovane umana vive circondata dall’inquinamento e dalla desolazione portate in dono dallo scoppio di una sorta di rediviva rivoluzione industriale, mentre la vampira, agiata e perennemente attorniata da uno stuolo di corteggiatori, cerca di annegare il malessere nell’alcol e nei numerosi confort offerti dalla sua posizione privilegiata.
Se ci fai caso, le due scene di apertura dell’anime (una relativa all’arco narrativo di Fine, una collegata a quello di Momo…) ci offrono una sintesi visiva immediata delle rispettive caratterizzazioni.
Fine incarna la quintessenza della principessa tragica, in salsa yuri.
Momo, invece, è l’umana gentile ed empatica che si rifiuta di ferire una bambina-vampiro a costo della sua incolumità e dell’approvazione dei suoi pari.
Il rapporto fra le due eroine procede nella maniera più credibile ed efficace possibile; vale a dire per gradi, scivolando progressivamente da un estremo all’altro dello spettro.
Dall’odio e dalla profonda repulsione che la società le ha sempre incoraggiate a coltivare, a una sorta di cauta diffidenza; dall’ignoranza dovuta al pregiudizio a una riluttante, inespressa attrazione; fino a culminare, da ultimo, nell’aperta ricerca di intimità (spirituale, se non fisica…) scaturita da un ritrovato senso di appartenenza e connessione.
Gli antagonisti
Allegro è il genere di comprimario destinato ad attirare la curiosità iniziale di qualsiasi spettatore.
E’ quasi inevitabile che sia così: dopotutto, i trickster sono personaggi carismatici per definizione!
Non mi spingerò al punto di dire che i suoi tratti caratteriali (rubacchiati qua e là…) si rivelino in grado di sostenere questo interesse a lungo. Ma ho sicuramente apprezzato il ruolo di Allegro – nonché quello di Kubo, lo zio “cacciatore” di Momo – e la funzione che svolgono in rapporto agli archi narrativi delle due protagoniste.
Dopotutto, Allegro e Kubo rappresentano, rispettivamente, tutto ciò che Fine e Momo sarebbero tranquillamente potute diventare. Che sarebbero sicuramente diventate, se avessero permesso al mondo esterno di stroncare sul nascere i loro sentimenti, la loro empatia e le loro pulsioni vitali.
Una sorta di “specchio” in cui guardare, insomma, per ammirare il genere di spauracchio che una società in preda al terrore sarà sempre pronta a creare…
Il viaggio di Momo
Tutto ciò ci riporta, ovviamente, al tema principale di “Vampire in the Garden”.
Vale a dire la preziosa lezione che sia Fine, sia Momo, avranno bisogno di imparare, prima di avere la possibilità di crescere e migliorare.
Una tesi che potremmo esprimere più o meno in questi termini:
«Soltanto se rifiuteremo di rinunciare gli uni agli altri, tenendoci aggrappati alla nostra capacità di sperimentare emozioni, permetteremo al Bene di trionfare. Soltanto allora la vita diventerà qualcosa in grado di trascendere la mera sopravvivenza, e diventerà preziosa.»
Un’idea di controllo che, ovviamente, pone delle splendide basi per una tradizionalissima storia di formazione.
Dall’assenza di significato (l’apatia di una vita grigia e violenta), alla riscoperta della fede: la speranza, le arti, il canto, la ricchezza interiore, la complicità, le emozioni.
Importantissimo, in questo senso, anche il ruolo giocato dalla madre di Momo. Un personaggio che incarna l’essenza stessa dell’ipocrisia, perno portante di quell’interminabile conflitto Umani VS Vampiri in procinto di scagliare il mondo nel caos…
Vampire in the Garden: la recensione
Una trama equilibrata e decisamente ben strutturata, quindi, quella di “Vampire in the Garden”.
Purtroppo, la serie risente anche di una serie di mancanze che, secondo me, impediscono al titolo di trasformarsi in un vero e proprio capolavoro.
In effetti, la visione di “Vampire in the Garden” risulta piacevole, coinvolgente e incalzante… ma, tutto sommato, anche prevedibile, oltre che facilmente dimenticabile.
Com’è possibile?
Per come la vedo io, uno dei motivi principali ha sicuramente a che fare con l’incredibile quantità di cliché che infarciscono la storia.
La premessa sa un po’ di già visto (okay: è un peccato veniale…) e il worldbuiling è molto, molto vago (peccato super-mortale!).
Inoltre, dal un punto di vista visivo, i personaggi hanno un look piuttosto generico. Ogni vampiro assomiglia all’altro, i mostri sono tutti uguali, e non è che per gli umani il discorso cambi poi molto!
La scena dopo i titoli di coda, con ogni probabilità, rappresenta il luogo comune più sfacciato di tutti.
Un epilogo così? Sul serio?
Dico, ma quante volte l’avremo già visto?
Del resto, secondo me anche la compressione brutale dell’ultimo atto in un singolo episodio da 25 minuti ha avuto il potere di danneggiare l’impatto emotivo del finale, e con ogni probabilità dell’intera storia nel complesso.
Punti di forza
+ Chi non ama un buon dark fantasy?
+ La relazione fra le due protagoniste è molto convincente!
+ Archi narrativi curati e approfonditi
+ Temi e valori all’insegna dell’umanità e della speranza
Punti deboli
– Un worldbuilding affetto da una spaventosa serie di cliché
– Un ritmo eccessivamente frenetico
– Un comparto grafico che lascia un po’ a desiderare, soprattutto in relazione al charadesign dei vampiri
– Finale super-scontato!
E tu, hai già visto “Vampire in the Dark”?
Che cosa ne pensi? 🙂